30 luglio 1998, è la data della morte di Maurice Bardèche. Era nato nel centro della Francia a Dun-sur-Auron nel 1907; aveva raggiunto Parigi a 18 anni per frequentare il prestigioso liceo Louis-le-Grand, primo passo per poter accedere all’Ėcole Normale Supérieure.
Qualche giorno dopo l’inizio delle lezioni, una mattina si era imbattuto in due coetanei che stavano recitando a voce alta, alternandosi, dei versi di Charles Baudelaire e di Tristan Corbière. Mattinata che segnò la svolta per tutti loro, destinati a diventare amici fraterni. Uno di essi era Thierry Maulnier, futuro drammaturgo, critico letterario e membro dell’Académie française, l’altro era Robert Brasillach, il poeta destinato a finire davanti ad un plotone d’esecuzione.
Impossibile parlare di Bardèche senza parlare di Brasillach; le loro vite, nonostante profonde diversità di sensibilità e di temperamento, furono sempre intrecciate. Brasillach il poeta generoso, pronto a dispensare a tutti le perle del suo intelletto; Bardèche, il giocatore di rugby interessato all’arte, ambedue alla scoperta della Parigi medievale, del quartiere ebraico, dei giardini ombrosi del Quartiere Latino.
Assieme nel 1928 entrarono nel regno degli alti studi francesi, l’Ėcole Normale, avendo come compagni di corso il futuro Presidente della Repubblica Georges Pompidou, la filosofa Simone Weil, il futuro etnologo e ministro Jacques Soustelle e altri non meno famosi; in “Notre avant-guerre” Brasillach descrisse quegli anni come anni di vacanza, di felicità.
Un giorno Maurice conobbe la diciassettenne sorella di Robert, Suzanne, di passaggio da Parigi per recarsi in Inghilterra. Ben presto Suzanne entrò a far parte del gruppo degli inseparabili; vacanze estive nei pressi di Perpignan, dalla nonna dei Brasillach, orfani di padre, ufficiale caduto nella Grande guerra.
Nel luglio del 1934 Maurice e Suzanne si sposarono a Parigi. Bardéche ottenne la cattedra di docente di Letteratura francese del XIX secolo alla Sorbonne mentre Brasillach, quando l’editore Arthème Fayard decise di cedere ai redattori il “Je suis partout”, fu scelto dai giornalisti per l’incarico (senza stipendio) di redattore capo.
Furono anni fecondi per i due amici, appassionati di teatro e di cinema, scrissero a quattro mani una “Histoire du cinéma”. Più tardi, nel 1939 un’altra pubblicazione in comune, l’”Histoire de la guerre d’Espagne” dopo un lungo viaggio in auto nella Spagna ancora sanguinante nelle ferite della guerra civile.
La dichiarazione di guerra alla Germania spezzò temporaneamente il sodalizio; Maurice continuò l’insegnamento universitario, Suzanne, presso dei parenti, dette alla luce il primo dei loro cinque figli, Jacques, mentre Robert Brasillach, con il grado di Tenente fu inviato sulla Linea Maginot.
L’armistizio colse Brasillach prigioniero dei Tedeschi in un campo di concentramento in Westfalia.
In base agli accordi stabiliti a Montoire tra i vincitori e il Governo di Philippe Pétain, Brasillach tornò in Francia nell’aprile 1941, aveva 32 anni. Lo storico Jacques Benoist-Méchin ritenne di affidargli il Commissariato generale del Cinema; accettò ma dopo tre settimane dette le dimissioni per riprendere il suo posto di redattore capo al “Je suis partout”, il suo primo articolo da rimpatriato era stato: “Le camarades restent”, riferito alla gran parte dei suoi commilitoni ancora prigionieri. Aveva dato la sua parola d’onore che avrebbe fatto tutto il possibile per la loro liberazione.
Bardèche continuava invece a non occuparsi di politica, mentre anche suo fratello Henri (detto Bérine) gestiva la libreria fascista “Rive Gauche”, luogo della politica di Collaborazione più spinta, proprio davanti alla sede della Sorbonne.
Bardèche insistè a lungo con Brasillach per cercare di farlo desistere dal riprendere il suo posto di redattore capo della pubblicazione che stava diventanto una delle punte di lancia della politica di Collaborazione; anche un altro amico di Robert dai tempi del loro comune impegno nell’Action française, il futuro scrittore comunista Claude Roy supplicò Brasillach di non mettersi in quella situazione. Inutilmente davanti alla sua determinazione.
Quando la cattedra di Bardèche fu soppressa, nel 1942, Maurice presentò la sua candidatura per una cattedra all’Università di Lille, che era vacante. Ottenutala fu costretto al pendolarismo settimanale (da 4 a 8 ore in treno a causa dei bombardamenti).
Mentre la guerra in Francia diventava guerra civile (dopo l’attacco all’URSS i comunisti ormai svincolati dal Patto Ribbentrop-Molotov, avevano iniziato la guerriglia) e il conflitto, con l’entrata degli USA e del Giappone diventava Guerra mondiale, al “Je suis partout” Brasillach si era trovato in disaccordo con Charles Lesca che lo aveva sostituito durante una sua visita al Fronte russo. Al suo ritorno si era trovato in minoranza nella redazione e dette le dimissioni seguito dai fedeli Georges Blond (il futuro storico) ed Henri Poulain, passando al settimanale di Lucien Combelle, “Révolution nationale” dove ritrovò anche Pierre Drieu La Rochelle.
Arrivarono poi quelle che Bardèche chiamerà “les semaines sanglantes que l’histoire officielle appelle la Libération”. Il primo settembre 1944 anche uno che era rimasto lontano dalla politica come Bardèche si sentì puntare una pistola tra le costole e fu recluso nel campo di concentramento di Drancy.
Nelle sue memorie scriverà che fu una fortuna perché così sfuggì alle atrocità dell’”epuration sauvage”. Anche suo fratello “Bérine” fu rinchiuso a Drancy ma per poco perché fu trasferito nel carcere di Fresnes.
Praticamente sconosciuto, Bardèche ebbe come compagni di prigionia l’editore Bernard Grasset e l’attore e regista Sacha Guitry. Solo in seguito saprà cosa stava succedendo fuori. Scriverà: “Penso con orrore a quelle settimane di vendetta e delazione. Come abbiamo potuto parlare di “barbarie” nazista quando siamo stati responsabili, non individualmente, ma come popolo, di sevizie, raffinati sadismi, ingegnose atrocità nella ferocia, indescrivibili e innominabili quegli orrori”.
Anche Brasillach era finito in un campo di concentramento, a Noisy-le-Sec per poi essere trasferito a Fresnes assieme al fratello di Maurice. Anche il patrigno di Brasillach, il medico Maugis era stato arrestato. Suzanne dovette fare la spola tra carceri, campi di concentramento e avvocati difensori, in treno, in bicicletta, in auto.
Il processo a Robert Brasillach si tenne il 19 gennaio 1945, durò due ore (sei se si considerano preliminari e pausa pranzo), nessun testimone fu ascoltato, nessun documento accusatorio fu prodotto. Con il verdetto di condanna a morte, al poeta furono messe le catene ai piedi e fu sistemato nell’area dei condannati del carcere. Lì scrisse i suoi “Poèmes de Fresnes”.
Un gruppo di scrittori fece circolare fra gli intellettuali francesi il testo di una breve petizione da firmare che chiedeva la grazia per Brasillach, lungo e importante l’elenco dei sottoscrittori, ma tutto fu inutile. L’avvocato Jacques Isorni si rivolse direttamente al Generale De Gaulle che lo ascoltò senza profferire parola, poi da terzi gli fece sapere che aveva respinto la richiesta di grazia e il 6 febbraio Robert Brasillach fu fucilato.
Scriverà Maurice: “Je crois que la morte de Robert Brasillach est un assissinat réussi”.
Pochi giorni dopo Bardèche fu scarcerato e poté provvedere alla sepoltura provvisoria del cognato al Père-Lachaise per poi trasferirlo, ad aprile, secondo le sue volontà, nel piccolo cimitero parigino sulla collina dietro la chiesa di Charonne.
Il fratello di Maurice, Bèrine fu condannato a cinque anni di lavori forzati, tre anni dopo finirà nella tomba dove per qualche tempo aveva riposato Brasillach nel cimitero del Père-Lachaise. Scontando la sua pena in cantiere a 2.000 metri d’altitudine sui Pirenei, era caduto e si era sfracellato contro le rocce.
Del gruppo di amici degli anni ’30, l’unico che non si era occupato di politica – Bardèche – si trovò improvvisamente in prima linea. Dopo aver pubblicato due ponderosi studi su Stendhal e su Balzac nel 1946 e ’47, si gettò nella mischia con la pubblicazione di un piccolo saggio dal titolo “Lettre à François Mauriac”, lo scrittore che per primo aveva preso posizione contro le violenze dell’epurazione.
Alla Lettre, che vendette rapidamente 80.000 copie, seguì “Nouremberg ou La Terre Promise”, sul processo di Norimberga. Per pubblicare il libro fondò una casa editrice, Les Sept Couleurs, nome di uno dei romanzi scritti da Brasillach del quale pubblicò subito dopo anche i Poemi scritti in carcere, uno studio su André Chénier e la “Lettre à un soldat de la Classe ‘60”.
L’uscita di Nouremberg gli costò la condanna ad un anno di carcere e una pesante ammenda. Finì nuovamente in carcere nel 1950 per aver pubblicato “Nouremberg II ou les Faux-Monnayeurs”.
Bardèche in quegli anni fu un assiduo collaboratore di buona parte della stampa di un mondo che cercava di riprendere fiato dopo la repressione, le stragi, le vendette. Una galassia di ex (ex dell’Action française, ex socialisti e neo-socialisti che erano passati per il RNP di Déat, ex comunisti del PPF di Doriot, ex delle mille sfaccettature ideologiche della destra/sinistra francese e dei suoi fascismi) improvvisamente unificate nel “neo-fascismo”.
Lo studioso si trovò coinvolto anche in una struttura organizzativa quando nel 1951 vari gruppi e movimenti francesi gli chiesero di rappresentarli (era contemporaneamente rappresentativo ma non ingombrante essendo un non politico) al secondo incontro del Movimento Sociale Europeo che si tenne a Malmö, in Svezia, per iniziativa di Per Engdahl, una delle figure storiche del “fascismo” svedese.
Nei tre giorni di riunione alla quale parteciparono esponenti di movimenti di vari Paesi europei fu decisa la costituzione di una Commissione di studi composta da uno svedese, un italiano, il missino prof. Ernesto Massi, fondatore della Geopolitica italiana e docente all’Università Bocconi di Milano (un “tecnico” vero che assieme a quelli della sua generazione porta la responsabilità del buon nome lasciato in eredità a qualcuno venuto dopo di lui e che vive solo d’immagine), un tedesco e da Bardèche per la Francia. Maurice si sentì investito di un compito pesante, al di là della sua portata ma superò l’indecisione per dovere verso l’impegno dei militanti di quei movimenti.
Scriverà quaranta anni dopo che quei militanti “erano quasi tutti giovani, poveri, spesso operai, studenti o piccoli impiegati, pagavano la loro ostinazione privandosi del necessario, il sacrificio quotidiano era il prezzo della loro testimonianza. Li ammiravo. Perciò restai così a lungo, con fierezza, portavoce in una impresa della quale avevo piena coscienza dell’inutilità”.
Per dare un organo ideologico francese al MSE, nel 1952 Bardèche dette vita alla rivista “Défense de l’Occident”, un mensile che uscì regolarmente fino al 1982, anche se la sua funzione nel MSE cessò dopo i primi tre anni (“Ho cominciato questa rivista per dovere, ne ho continuato la pubblicazione per onestà, la chiudo senza tristezza”, scriverà).
Dopo molti anni di battaglia legale la famiglia Bardèche riuscì a rientrare in possesso dell’appartamento parigino che gli era stato requisito nel 1945.
Sempre attento ai fermenti intellettuali del variegato mondo culturale nel quale si era trovato ad agire, continuò fino alla fine dei suoi giorni a conservare la memoria e a rendere omaggio a coloro che sentiva vicini alle sue idee, da Brasillach ai caduti della Comune al Mur des Fédéré nel cimitero del Pére-Lachaise.
Adesso riposa assieme a Suzanne nella tomba dirimpetto a quella di Robert nel piccolo e semisconosciuto cimitero di Charonne.