La lettera. ll risultato dei Fratelli d’Italia? Poteva essere migliore. Scavalcati “a destra” dalla Lega

giorgio almirante meloniCaro direttore,

adesso che la campagna elettorale è conclusa, posso finalmente dire quello che penso. Lo ritengo un mio diritto come militante di Fratelli d’Italia- Alleanza Nazionale, che da diverso tempo si mordeva la lingua per “spirito di corpo”. Ora, però non voglio ritornare ai tempi dell’ “incubo An”, in cui ogni considerazione non appiattita veniva zittita, dicendo che la situazione era difficile e non era quello il momento. Sicché ogni passaggio, anche le comunali di Viggiù, erano un pretesto buono per non guardare in faccia la realtà. Perché ora dobbiamo guardare in faccia una realtà scomoda ma ineludibile: il fatto di essere passati dall’ 1,9% al 3,7% è sicuramente positivo, ma non si può liquidare il risultato dicendo che, comunque, siamo cresciuti, e quindi va tutto bene così com’è. Soprattutto perché sono convinto che il “fatidico” 4% si sarebbe potuto agevolmente raggiungere (anzi, molto di più…) se non si fossero fatti degli errori che mi sento in dovere di denunciare.

L’impressione che ho avuto in questi 18 mesi è quella di un lento, lentissimo risveglio da anni di sonno della ragione. Il problema è che si è trattato di un risveglio troppo lento, talmente lento da risultare tardivo: cosa ci abbiamo fatto per un anno ancora nel Pdl dopo che questo ha sostenuto il governo Monti? Sarebbe stato una mossa politico-mediatica perfetta se Giorgia Meloni, che già nella notte drammatica delle dimissioni di Berlusconi si era opposta alle “larghe intese”, anziché adeguarsi ad una decisione di un organo che contava solo quando Berlusconi non voleva prendersi direttamente una responsabilità, avesse detto: “Cari signori, qui finisce l’esperienza del Pdl. Me ne vado e fondo un partito che persegua ciò a cui Berlusconi & C. hanno rinunciato”. Non lo fece e aspettò un anno intero. E a dirla tutta: perché abbiamo aspettato così tanto a dichiarare la nostra uscita dal Ppe? Perché non abbiamo cavalcato immediatamente l’uscita dall’ Euro? Quando, dal palco del Congresso, Giorgia Meloni gridò “uscire dall’Euro”, crollò la sala di urla ed applausi. Era l’applauso liberatorio di chi aveva smesso di soffrire, che da mesi aspettava quella presa di posizione e si rodeva il fegato perché non arrivava. Peccato che qui dove vivo esiste un partito che si chiama Lega Nord che ne aveva fatto una bandiera da moltissimo tempo e batteva l’Italia settentrionale e non solo già da un pezzo portando avanti quella battaglia. E lo ha fatto anche dopo, auspice una certa “garbatezza” da parte nostra che spesso è sembrata timidezza ed indecisione.

A proposito della Lega: la “maledizione An” di cui parlo più sopra include la “maledizione Lega Nord” di cui, forse, chi abita nel centro-sud non ha contezza, ma un lombardo come me sì. Perché, per decenni, mentre An si contorceva su se stessa, la Lega Nord spopolava con una lineare politica, consistente, semplicemente, nel cavalcare quei temi che sarebbero stati, per natura, “nostri”, ma su cui sembravamo essere capaci di produrre solo delirio. La fine di Bossi e del “cerchio magico” sembrò rompere quella maledizione abbattendo la Lega. Sarebbe stato ben il momento di creare un partito “di destra” (uso le virgolette perché il termine è ormai anacronistico e serve solo per capirci) che rioccupasse quello spazio regalato da An alla Lega e da quest’ultima, in quel momento, abbandonato. Occasione persa un’altra volta. Intanto la Lega trovava un leader, Matteo Salvini, che l’ ha risollevata e si è posto come interlocutore in Europa dell’astro montante di Marine Le Pen. Un leader che ha levato la parola “Padania” dal simbolo per mettere “No Euro”, che sta promuovendo referendum contro l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, contro la legge Mancino, contro la legge Fornero per cui non uno solo dei nostri elettori non ha entusiasticamente firmato. Ma davvero non ci accorgiamo che ce l’hanno fatta sotto il naso? Che quel 6,6% della Lega è alla faccia nostra?

E poi: non ci rendiamo conto che, ormai, categorie come “centro-destra” e “centro-sinistra” appartengono ad una fase chiusa? Ma davvero pensiamo che il futuro sia una ricostituzione della vecchia coalizione in cui la Meloni, Fitto e il–sindaco–di–Pavia-che-nemmeno-ricordo-come-si-chiama gareggiano alle “primarie”? Ma su che pianeta siamo? Su Marte? Su Yuggoth? Su Evron?

Non ci accorgiamo che tutto questo non vale più, che abbiamo un partito, il Pd, al 42%, che questo partito non è più l’-erede-del-partito-comunista ma è l’embrione del “partito unico liberaldemocratico”, che ci sta portando verso un totalitarismo morbido, diluendo e frullando assieme la sinistra, il pensiero laico, ciò che penosamente sopravvive della militanza cattolica, le pulsioni protestatarie alla Grillo ed il berlusconismo, di cui Renzi si pone come erede a tutti gli effetti? Luttwak in una recente intervista, ha sostenuto che Renzi, forte del suo consenso, potrebbe mandare a quel paese la Merkel e portarci fuori dall’ Euro. Non è uno scenario fantapolitico, dato che non è più un segreto che tutte le banche centrali stanno studiando la cosa. Probabilmente è solo questione di ufficializzare. Se Renzi lo facesse passare come un suo merito, alla prossima tornata dilagherebbe, spazzerebbe via Grillo, spazzerebbe via i residui di centro-destra, potrebbe demolire anche il lavoro fatto dalla Lega di Salvini. Allora anche il problema dell’Euro cederebbe il passo ad uno più urgente: il rischio di un regime dissimulato.

Questa è la posta in gioco, baby. Altro che “fase congressuale”, “analisi del voto”, “riflessione interna”, “siamo comunque una realtà in crescita e promettente”… Quello che in cui viviamo è un altro pianeta, un’altra galassia, un’altra realtà, per affrontare la quale è necessario ragionare in modo totalmente “altro” dai ragionamenti e dalle logiche su cui ci ostiniamo ad attardarci. La politica è un’altra cosa anche rispetto solo a tre o quattro anni fa. Qui non si tratta di far crescere in percentuale un partito (che, come spesso si dice, è solo uno strumento e non un fine…) ma dell’Italia che lasceremo dietro di noi.

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Paolo Filipazzi

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