La lettera. Tra le rovine del centrodestra pochi lampi di luce costruiti sul radicamento

fiaccolata tricoloreCaro direttore,

è stata una campagna elettorale surreale per me. Ho messo in discussione (a viso aperto) le scelte politiche di tanti amici vicini a me, non condividendole, senza mai mettere in discussione il percorso ideale e il filo, tanto sottile quanto indistruttibile, che mi lega alla mia storia, personale e politica. E senza venire meno a quello che considero un mio dovere, nel rispetto di quella storia.

Ho sofferto, sopportato, ignorato. In un clima surreale, da “non iscritto” ad alcun partito e orfano della “militanza” anche per ragioni lavorative, gioisco in solitudine per un paio di successi e pure per gli insuccessi: perché nel momento peggiore di quello che viene definito centrodestra (o sulle sue rovine), si intravede, da visionari,la possibilità di costruire sulle macerie, solo che si rinunci a egoismi, personalismi, massimalismi anacronistici.

Negli ultimi anni abbiamo raccontato al nostro mondo che non esiste vittoria senza la possibilità di giocare la partita al tavolo del governo, della (buona) amministrazione, del confronto anche serrato con una maggioranza degli Italiani fatta di sensibilità diverse. Per far vincere una visione del mondo, una idea di società, una storia che viene da lontano. E i nostri ci hanno creduto, spesso a dispetto delle evidenze, lo hanno metabolizzato, come dimostrano i risultati elettorali (scadenti) generali e le nobili eccezioni sul territorio, figlie solo di radicamento e storie positive. Si potrebbe ripartire da qui. Potreste ripartire da qui. Potremmo ripartire da qui. Solo sapessimo chi siamo.

Paolo Di Caro

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