Ay Sudamerica! A Rosario il terrorismo narco minaccia anche Messi e Di Maria

La terza città argentina è in mano alle gang, che uccidono innocenti e terrorizzano persino i campioni del mondo

A poco più di cento giorno dall’insediamento alla Casa Rosada, il presidente argentino Javier Milei deve far fronte a un bel numero di rompicapi. Non ultima un’ondata senza precedenti di terrorismo “narco” a Rosario, principale porto fluviale sul rio Paranà e città natale di Ernesto “Che” Guevara.

Il termine “terrorismo” non è esagerato, perché ciò che sta accadendo nella terza città della nazione va molto al di là di un’emergenza legata alla criminalità organizzata. Tant’è vero che le potenti bande di narcotrafficanti hanno messo nel mirino persino due campioni del mondo della Selecciòn, il capitano Leo Messi e l’attaccante Angel Di Maria, ex della Juventus ora al Benfica portoghese, entrambi originari di Rosario. Nei mesi scorsi ignoti malviventi avevano sparato più colpi contro le vetrine di un supermercato della famiglia di Antonella Roccuzzo, moglie di Messi; mentre pochi giorni fa un pacchetto con minacce di morte contro Di Maria è stato recapitato al country club dove il campione del mondo risiede quando non si trova in Europa.

Le intimidazioni ai danni di Messi e Di Maria non sono le peggiori né le più gravi messe in atto dai “narcos” di Rosario, città che ormai ha il tasso di omicidi più alto d’Argentina (in media quasi uno al giorno) e vive in uno stato di emergenza continua. Nell’ultimo mese il terrorismo criminale ha ucciso almeno quattro persone innocenti soltanto per mandare un segnale al governatore della provincia di Santa Fe, Maximiliano Pullaro della Uniòn Civica Radical (Ucr), partito alleato a quello del presidente Milei. Nei mesi scorsi il governatore aveva promesso e cominciato ad attuare una lotta al narcotraffico sull’esempio del presidente di El Salvador Nayib Bukele, noto per i suoi metodi spicci e poco ortodossi che però nel giro di poco tempo hanno quasi azzerato i crimini delle gang del piccolo Paese centroamericano.

Così anche nelle carceri di Santa Fe (in foto) c’è stato un severo giro di vite a danno dei detenuti per narcotraffico, che sinora avevano goduto di eccessiva libertà tanto da poter continuare a dirigere le loro organizzazioni da dietro le sbarre. Le immagini delle perquisizioni in cella per scoprire droga, telefoni cellulari e altri oggetti proibiti hanno fatto il giro dell’Argentina, ma la risposta della gang (a Rosario da anni spadroneggiano “Los Monos” e “Los Alvarados”, oltre ad altre bande minori) è stata terribile.

Nelle scorse settimane sono stati uccisi a sangue freddo due taxisti, un autista di autobus e un impiegato di una stazione di servizio, gente senza precedenti penali né legami con la malavita scelta soltanto perché facile obiettivo per i sicari al soldo dei “narcos”. Che hanno rivendicato le esecuzioni con dei grandi striscioni appesi ai cavalcavia stradali, sul modello dei “colleghi” messicani: «Continueremo a uccidere», recitavano i messaggi, «finché Pullaro non la smetterà». Nelle scorse notti si sono verificati quattro attentati incendiari ai depositi degli autobus urbani, così ancora una volta (la quarta nell’ultimo mese) il trasporto pubblico è rimasto paralizzato.

Ora il governo centrale sta valutando misure speciali per contrastare il ricatto mafioso, come l’allontanamento dei vertici del servizio penitenziario federale (troppe collusioni), l’invio di soldati in appoggio alle forze dell’ordine e un decreto che autorizza la polizia a sparare anche senza identificarsi. Provvedimenti che la popolazione invoca a gran voce ma suscitano anche preoccupazione dal punto di vista della violazione dei diritti civili: la costituzione argentina, ad esempio, proibisce l’uso delle forze armate per compiti di polizia e questa è un’evidente conseguenza dei tempi bui in cui, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, il regime militare utilizzava i soldati per la repressione politica. Fra l’altro a Rosario, ma non solo lì, emerge sempre più spesso la complicità delle forze di polizia con le bande di narcotrafficanti. Molti degli omicidi commessi nelle ultime settimane, ad esempio, sono stati eseguiti con armi in dotazione alla polizia federale e alla polizia di Santa Fe, segno evidente della permeabilità degli agenti da parte della criminalità.

La crisi di Rosario è arrivata anche in Vaticano, tanto che il Papa ha diffuso un videomessaggio chiedendo alle autorità argentine di indagare sulle reti di corruzione e riciclaggio di denaro che favoriscono l’avanzare del narcotraffico, di rilanciare l’azione della politica e anche della Chiesa, di vegliare sull’applicazione della giustizia e di rafforzare il senso di comunità. «Senza la complicità di un settore del potere politico, giudiziario, economico, finanziario e della polizia», ha detto papa Francesco, «non sarebbe stato possibile arrivare alla situazione in cui si trova la città di Rosario».

L’importanza di Rosario per il futuro dell’Argentina è vincolata soprattutto al ruolo economico dell’idrovia, come viene chiamata, che passa di lì: un corridoio di 3.400 chilometri creato dall’unione dei fiumi Paraná e Paraguay che sbocca poi nel Rio de la Plata, vicino a Buenos Aires, interessando altre tre nazioni: Paraguay, Brasile e Uruguay. Il tratto più importante passa appunto per Rosario e il suo complesso portuale da 38 scali, di cui solo quattro gestiti dalla provincia di Santa Fe e il resto da aziende multinazionali. Un “regalo”, secondo l’opposizione peronista, fatto a suo tempo dal presidente di centrodestra Mauricio Macri ai colossi stranieri del trasporto marittimo e fluviale.

Da qui transita il 75 per cento delle esportazioni agropecuarie argentine, un business da 35 miliardi di dollari l’anno. Ma insieme a soia, grano, carne – mimetizzate nei doppi fondi delle casse – partono per l’Europa tonnellate di cocaina. Almeno 23 all’anno secondo le stime realizzate dalle autorità di Montevideo nel 2021. Frutto avvelenato, secondo molti, della “ritirata” dello Stato e del subappalto dei controlli alle security private delle multinazionali. Ecco perché per Milei e per l’Argentina intera il “caso Rosario” non è più soltanto un problema di criminalità e di ordine pubblico.

Giorgio Ballario

Giorgio Ballario su Barbadillo.it

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