“Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.”
Nella sua splendida poesia, Gabbiani, Vincenzo Cardarelli allude alla condizione dello scrittore, del poeta in primo luogo, che poi, a ben vedere, coincide con la condizione dell’uomo: la nostalgia della quiete, del porto da un lato, la vita da affrontare con i suoi drammi e i suoi turbamenti dall’altro. La vita felice poi è un ideale, un miraggio, un sogno, che solo in rari momenti personali e storici sembra toccarsi con mano e prendere forma e che in ogni caso non dura. A ciò si aggiunga che rispetto all’uomo comune, che vive di solito senza porsi domande, alla giornata, il poeta, il vero intellettuale ama il proprio destino (l’amor fati di nietzschiana memoria), non teme di non appartenere al gregge, è anticonformista, non è per natura un “pacifista”, perché porta alla luce la disarmonia del vivere e non di rado ne paga le conseguenze. Pensiamo a Drieu La Rochelle, Brasillach, Pound, Orwell, Pavese…