Il cortocircuito tra poesia libertà e stalinismo

I poeti russi sono afoni. Frida Kahlo, Leon Trotsky e l’addio tragico. La rivoluzione permanente? Sulle bancarelle a Porta Portese

Gli epigrammi di Stalin

I poeti russi sono afoni. Frida Kahlo, Leon Trotsky e l’addio tragico. La rivoluzione permanente? Sulle bancarelle a Porta Portese.
Iosif Stalin, carnefice del suo popolo rinchiuso nei gulag o nelle celle della Lubianka, osannato dai partiti comunisti esteri, tesse le sue trame di potere. E nella ragnatela restano impigliati gli ingenui cantori, i poeti. Hanno esaltato il cambiamento, il rinnovamento e ora disillusi usano l’arma del suicidio contro lo stato despota, divoratore di libertà. Il regime bolscevico che si è impadronito della Russia non avrà più messaggeri liberi ma pifferai prezzolati. Già prima, nel 1921 c’è stata una illustre vittima: Aleksandr Blok. Aveva propugnato la rivoluzione ma poi i bolscevichi lo avevano condotto al silenzio, alla depressione, sino a lasciarsi morire.

Nel 1925 Esenin si strozza con la cinghia di una valigia e prima scrive una poesia con il sangue. Majakoskji ripete il suo slogan: “il futurismo è materialista!” e si spara. Daranno il suo nome a una stazione della metropolitana a Mosca. Gli scrittori della rivista “Novaja Zizn, la Vita Nuova, scompaiono negli abissi senza l’ingombro di un processo. Il suo direttore Gorky è diventato “fastidioso” e viene tolto di mezzo, con il figlio Peskov, ricorrendo alla dispensa dei veleni di Jagoda. Uno dei pochi poeti a salvarsi, con un percorso da anguilla, è Evtushenko, nel 2010 quasi novantenne è stato a Genova per il festival della poesia.
Ricordo di essermi appassionato a “Il placido Don”, epopea dei cosacchi, ma poi sono emersi dubbi circa la paternità dell’autore Solochov. Nel 1965 questi prende il Nobel ma l’accusa di plagio sussiste. In quel periodo storico in Russia tutto è nebuloso, anche le foto sforbiciate di quelli caduti in disgrazia, da celare. I poeti sono diventati cicale improduttive e saranno sostitute dai ruffiani. Da chi scrive: “Tu, o Stalin, grande capo dei popoli, tu che facesti nascere l’uomo, tu che fecondi la terra…” Eugenia Ginzsburg è reclusa nel sotterraneo del Lago Nero, sede della Lubianka, dopo a Kazan e malgrado la clausura forzata c’è chi verseggia: “Stalin, mio sole d’oro!” Molti detenuti sostengono che Stalin non conosce le illegalità commesse. “Sono i giudici, quei vigliacchi, lui si è fidato di Ezov ma adesso Berija sistemerà tutto.” Vicine di cella di Eugenia ci sono una comunista italiana scappata da Mussolini, e una tedesca, Clara, da Hitler. Nel 1932 Stalin inventa il realismo socialista e secondo lui lo scrittore dev’essere un ingegnere dell’anima.
Negli anni 1936/1938 Stalin si libera della zavorra dei collaboratori di Lenin e spiega così le purghe: “Quanto più il paese progredisce verso il comunismo maggiori sono la resistenza e il sabotaggio ai successi.” Obiezione: dopo vent’anni? E agli intimi afferma: “Il popolo è letame, una massa amorfa. Serve un capo forte.”
Stalin ha un grande avversario: Leon Trotsky, ma non osa sottoporlo a un processo per il suo ruolo di ex Comandante dell’Armata Rossa. Teme ancora la sua popolarità, lo usa come baubau per sbarazzarsi di quelli che considera nemici. Nel 1937 la NKVD con le mitragliatrici falcidia migliaia di presunti trotskisti che cadono cantando l’internazionale.
Dopo un po’ di confino ad Alma Ata Trotsky viene espulso dall’Unione Sovietica. Vaga per diversi anni apolide. I Paesi non lo vogliono accogliere, temono ritorsioni dall’Urss. Grottesco il suo pellegrinaggio, va nei paesi capitalisti a vaticinare la sua rivoluzione permanente ormai favola, a offrire la sua mercanzia scaduta. Dietro di sé una folla di fantasmi: i figli, le figlie, il genero, i segretari, gli amici, i collaboratori, tutti trucidati dal satrapo georgiano, il padrone dell’Unione Sovietica.
Nel gennaio del 1937 si rifugia in Messico, invitato da Diego Rivera il creatore dei murales, e da sua moglie Frida Kahlo, pittrice estrosa, nella Casa Azul. Trotskij prende intimità con Frida, molto più giovane e le confessa: “Mi hai restituito la giovinezza e tolto la ragione.” Lui ha 59 anni, lei 29. La moglie, Natalia Sedova, pur non comprendendo l’inglese parlottato dagli amanti si accorge della tresca e lo obbliga a spostarsi in una villa poco lontana, sempre nel sobborgo Coyoacan. Il marito le chiede perdono, le scrive: sono pieno di vergogna e si firma “il tuo vecchio cane fedele”. Questo lo rende terribilmente umano.
Stalin è infastidito dalle conferenze, dai bollettini del compare d’un tempo, Trotsky, che fonda la Quarta Internazionale in un granaio, gli rimprovera di aver tradito la rivoluzione. Stalin gli manda un memento con un suo agente segreto. Il 20 agosto 1940 Ramon Mercader con una piccozza da ghiaccio fracassa il cranio al vecchio tribuno. L’assassino è il figlio di una nota agente della GPU sovietica e fratello dell’attrice spagnola Maria, moglie di Vittorio De Sica. Per Stalin è un ricco trofeo, una grande preda. Si spegne l’ultima voce insigne dell’opposizione. Il condottiero del treno corazzato che vinceva tutte le battaglie, di lui una comparsata nel film “Il dottor Zivago.” Il suo testamento finisce con la frase: la vita è bella, titolo di un altro film. L’intellighenzia si arrese alla necessità storica. Andrè Malraux: “Come l’Inquisizione non intacca la cristianità così i processi di Mosca non intaccano il comunismo.” Berthold Brecht: “Felice il paese che dà vita a un simile eroe, infelice il paese che ha bisogno di un simile eroe.” Trotsky è Galileo Galilei, è Giordano Bruno!
Anno 2014 a San Pietroburgo. Al mattino scorgo lunghe code di persone e chiedo. Una icona è stata portata in America agli albori della rivoluzione con l’intesa che sarebbe ritornata solo a Russia liberata. Ora sta facendo il giro delle chiese. Sono convinto che il popolo russo abbia sopportato l’immane tragedia del bolscevismo per il suo misticismo, perché pervaso dal cupo senso di colpa di Dostoevskij. La vita è intesa come una colpa da espiare. Gli ortodossi le immagini le baciano imprimendo le labbra e questo rivela la loro profonda religiosità. Sono alla basilica del Sangue Versato, sembra di pan zucchero e canditi, troppo festosa per il fatto che ricorda. Nel 1881 si è compiuto il regicidio dello Zar Alessandro II. Era chiamato “liberatore” perché aveva liberato i servi della gleba, eppure una bomba lo ha dilaniato. L’attentatrice è Sofia Perovskaia, incinta, figlia di un governatore. Nel suo animo la redenzione dei miseri ma la bontà sovente ha il seme della violenza. Una carità che diventa assassina, terrorista. La storia straripa di casi simili. Colpire il suo ceto è un capriccio che la borghesia si concede. L’acqua del canale che serpeggia la chiesa una volta all’anno diventa rossastra, forse per le alghe, quasi volesse ricordare l’evento tragico.
Cala la sera, la luce è opaca, evanescente. È quella magica del giugno, delle notti bianche. I taxi scalcinati, sgangherati, vanno come razzi. Gli autisti redarguiti brontolano: <Ferrari, Ferrari!> Una delle poche parole che sanno in italiano. Cercano di fare più corse possibili con i turisti, li portano sul fiume Neva. A mezzanotte si alzano i ponti levatoi e i battelli iniziano il giro, a bordo offrono vodka e uova di storione. In un’ansa ancorato c’è il vetusto incrociatore Aurora, il padrino dell’ottobre del 1917, divenuto museo galleggiante. Nel periplo turistico è compresa la visita alla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo ed ecco le tombe dello zar Nicola II, della moglie e dei figli trucidati a Ekaterinburg. Hanno ricevuto molti onori e la Chiesa Ortodossa li ha canonizzati innalzando alla gloria dell’altare Nicola Romanov. Obliterate le sue passioni per le ballerine, il suo etilismo cattivo curato vanamente dal monaco Rasputin.
Dopo la rivoluzione del 1917 in Russia c’è stata la guerra alla vodka. Basta euforia e brindisi. Le botti sfasciate vengono versate nella Neva, anche se può capitare che gli incaricati lo facciano ubriachi per un’ultima bevuta. Nel 1920 nel Stati Uniti d’America viene indetto il proibizionismo. Con il Volstead Act c’è la proibizione della fabbricazione, vendita e trasporto di alcol. Singolare che il provvedimento sia adottato da regimi così diversi. Fa ritenere che la preoccupazione di tutti i governanti sia quella che i tapini lavorino con solerzia. Tutto questo sembra dar lievito al motto critico degli anarchici: “Produci e crepa!”
@barbadilloit


Gianfranco Andorno

Gianfranco Andorno su Barbadillo.it

Exit mobile version