Il poeta Alessandro Lunare e la reminiscenza della “voce antica”

"La poesia è viaggio verso l’ignoto approdo del proprio io, dove si spera di godere di una vista più ampia"

La forza della poesia

Poeta, scrittore e saggista, attore teatrale, Alessandro Lunare con i suoi scritti soprattutto poetici trasmette un pathos che può essere vissuto, inquietamente, serenamente, quasi felicemente. Membro della giuria del Premio letterario Città di Bitetto, nel 2018 vince il 2° Premio Città di Galatina, presso Rende riceve una Menzione d’Onore per il suo libro di racconti Il pensiero Latente, conferitogli dall’Associazione Culturale Il Club della Poesia.   Prefata dalla poetessa e scrittrice Anna Gramegna, parliamo con lui della sua ultima fatica: «Una Metamorfosi».

Lunare come nasce la poesia dentro di lei?

“Posso dire che si tratta di una ‘voce’ antica, che mi parla all’orecchio sin dall’adolescenza, la riconosco in una rete metallica che sibila al vento, nel misterioso dispiegarsi di un papavero solitario sul ciglio di una strada, nell’eco inconfondibile di un gabbiano alto nel cielo”.

Amore e morte, ansie ed inquietudini, dialoghi, profumi e colori scandiscono i versi poetici di «Una Metamorfosi». Che tipo di poesia ci troviamo davanti?

 “Ci troviamo in presenza, a mio parere, di una poesia che fa dello stimolo o dell’occasione esterna un pretesto per interrogarsi, per scoprirsi, per auto analizzarsi, come insegna il buon Socrate col suo ‘conosci te stesso’”.

Nei suoi versi auspica di «Svegliarsi accanto alla riva del fiume… /senza sapere la destinazione…». Visti gli imprevisti della vita, esclude che lungo la riva del fiume possa veder passare il cadavere del suo nemico?

“La poesia cui lei fa cenno è una metafora del trapasso ad altra forma, quella ultraterrena, una dimensione in cui, finalmente, i nemici ce li lasciamo alle spalle, compreso il nemico più acerrimo: noi stessi. Sulla sponda dell’aldilà vige l’indeterminazione, il qui e ora ‘eterno’ e inconoscibile”.

La Metamorfosi l’ha aiutata, attraverso la poesia, a superare quei «Laccioli che ingabbiano» consentendole di raggiungere un maggior grado di libertà. Nel caso i laccioli non vengano superati cosa accade?

“Si rischia di implodere e di ammalarsi di tristezza, una brutta malattia, non la auguro a nessuno, e per questo la poesia è viaggio verso l’ignoto approdo del proprio io, dove si spera di godere di una vista più ampia, di un respiro più profondo e di intima gioia”.

Il suo proiettarsi in una nostalgia del futuro, o se mi consente in una nostalgia dell’avvenire cosa comporta?

“Il futuro lo si può già vedere ponendosi all’estremo più lontano della linea del tempo, e allora appare il dejà vu, il già vissuto, e pertanto in questo senso è già sorgente di nostalgia…”.

Lei vorrebbe superare i versi della società borghese, così come ogni generazione vorrebbe cambiare il mondo. È solo la società borghese a dovere essere superata? Società borghese più pericolosa della globalizzazione? E lei se non è un borghese cosa è?

 

“Io tento con la poesia una rivoluzione dall’interno della società borghese, in quanto ne faccio parte. La società borghese si scardina compiendo atti gentili e disinteressati, la schiavitù che ci imprigiona si fonda sul concetto di mio, di selfinterest, che definisce il mio mondo; ma se capovolgo la clessidra, se inverto il corso del tempo, se mi apro all’altro, allora io sono la nemesi della borghesia, la promessa della sua fine”.

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Michele Salomone

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