La Federazione Internazionale dell’Automobile ha emesso i propri verdetti sulla questione inerente al tetto di spesa, fissato in 145 milioni di dollari.
Con riferimento alla stagione 2021 (per la stagione 2022 le analisi delle squadre andranno fatte), l’Aston Martin è stata riconosciuta colpevole di violazioni di carattere procedurale.
Per la Red Bull, invece, confermato lo sforamento, per quanto l’infrazione sia stata qualificata come “minore”, ossia non superiore al 5% del totale.
Le cifre precise e le sanzioni non sono state ancora comunicate, mentre la squadra anglo-austriaca ha cercato immediatamente di giustificarsi, dichiarando come la controversia sia nata a causa di alcune malattie pagate ai dipendenti e di una serie di buoni pasto aziendali che non si è riusciti ad inserire nel bilancio.
Una difesa dai tratti financo bizzarri non poteva non scatenare commenti al veleno, da parte della Ferrari e soprattutto della Mercedes, che lo scorso anno ha visto Hamilton perdere il titolo, contro Verstappen, all’ultimo giro dell’ultimo Gran Premio.
La vicenda, partendo dal presupposto del mancato rispetto della regola, potrebbe assumere delle tinte maggiormente “inquietanti” nella misura in cui si decidesse per un patteggiamento, in sintesi una multa, creando così un precedente che minerebbe dalle fondamenta questa regola.
Al contempo, l’equazione secondo la quale spese si traducano in grandi successi, è già stata categoricamente smentita dalla storia: si pensi ai colossi Honda e Toyota che negli anni Duemila, pur spendendo cifre ragguardevoli, non hanno certamente ottenuto grandi successi (la Toyota, in Formula 1 dal 2002 al 2009 non ha vinto nemmeno una gara; per la Honda sia da motorista che da costruttore, e la Mugen-Honda, i risultati sono stati solo leggermente migliori).
La situazione delle spese ha fatto il paio con il Gran Premio di Singapore (antecedente a quello del Giappone): se per gli appassionati la gara di Singapore è stata un’ottima occasione per ammirare i piloti guidare sulla pista umida in assetti frutto di un compromesso, la stessa è stata ricordata più che altro per gli enormi strascichi polemici generati dalle tempistiche, tutt’altro che celeri, nella valutazione e nella mancata punizione di Perez, vista la sua condotta in regime di Safety Car.
Sport e spettacolo: cosa vogliamo?
Questo quadro ci offre di nuovo lo spunto per tornare sul complesso rapporto tra sport, spettacolo e intrattenimento: la Formula 1, è innegabile, negli ultimi cinque anni ha visto crescere di continuo sia i telespettatori a livello globale, sia le presenze nei circuiti; non si contano poi le richieste pervenute dai vari Paesi, impazienti di ospitare anch’essi un evento.
Insomma, economicamente e commercialmente parlando, il prodotto Formula 1 sembra godere di un’ottima salute.
Eppure, tutto questo non basta: ormai non c’è più una gara che non si concluda con degli strascichi di polemiche, strascichi che si prolungano per giorni, continuando a fare tendenza e alimentando gli inquisitori delle reti sociali che continuano a disquisirne.
La tecnologia va avanti, non si contano le moviole, i fermi-immagine, le telecamere ma come nel calcio, con la VAR, le controversie e i dibattiti fagocitano spesso le gesta sportive (in pista o sul campo che siano).
Sembra banale ma l’elemento umano continua a rimanere preponderante: nel caso particolare del regolamento sportivo della Formula 1, in effetti, fatto salvo il nucleo delle penalità assegnate in occasione dei cambi delle componenti dell’unità motrice, non esiste un sistema fisso di sanzioni da comminare rispetto alle singole infrazioni.
Le valutazioni dei commissari di gara continuano ad essere fondamentali per vagliare, caso per caso, entro il contesto in cui i fatti siano avvenuti, cercando così di evitare al massimo le ingiustizie.
Tutto questo, però, richiede tempo, visto che le procedure di gara sempre più complesse e arzigogolate rischiano di sconvolgere la normale evoluzione di un Gran Premio.
Sulla questione delle spese poi la dinamica è maggiormente complessa, basti pensare che le squadre lavorano e operano in un Mondo ormai globalizzato e che dunque le diverse società si ritrovano a dover gestire complessi meccanismi finanziari.
Se poi si considera l’incidenza dell’inflazione, le normali spese (simulatori, dipendenti, la logistica) possono crescere fortemente; per di più, la regola voluta per cercare di mettere un tetto alle spese, circoscrivere gli sviluppi e limitare le prestazioni è di per sé piuttosto particolare.
Quest’ultima esclude dal computo gli stipendi dei piloti, quelli dei dirigenti di più alto livello e tutta l’organizzazione per accogliere media, sponsor e personaggi in vista durante i fine settimana.
Dunque, a conti fatti, visto che talune squadre minori (ad esempio la Haas) ai 145 milioni non arrivavano neanche quando alla possibilità di investire non era stato posto alcun limite, la regola in pratica ha colpito direttamente i colossi della Formula 1, sotto forma di minori sviluppi alla vettura (se non altro rispetto al recente passato) ma soprattutto di ingenti licenziamenti dei dipendenti.
Il risultato: alle complicazioni o controversie che dir si voglia di natura sportiva e tecnica, si sono aggiunte quelle finanziarie.
Non proprio quello di cui lo sport aveva bisogno.
Cosa fare?
Nel complesso, quali potrebbero essere le interpretazioni e le possibili risposte, a maggior ragione prendendo lo sport del motore con far realista, dunque consci di quali siano le logiche e di quanto conti il peso politico delle diverse scuderie.
Il rischio più enorme è quello che in nome di una velocità del giudizio, che risponda alle logiche della diretta mediatico-televisiva, quell’ultima porzione di sport possa essere sacrificata, nel senso che pur di dare un responso rapido, alla fine si potrebbero falsare maggiormente i Gran Premi, molto più che non nel ponderare le valutazioni in sé, con i tempi che queste richiedono.
Esiste poi un rischio, dall’altro lato, ancora più grande, ossia che regole sempre più complesse e che vertano su questioni che non siano sportive (come per l’appunto possano essere gli artifici volti al livellamento delle prestazioni) aumentino la confusione, fino a genere quasi un disinteresse a fronte di logiche non comprensibili.
Ci sarebbero una serie di misure da poter adottare, coinvolgendo le autorità e le squadre, cominciando dal riaggiornare il regolamento, nell’ottica di migliorare massimamente quelle espressioni ambigue, utilizzando parole che siano meno interpretabili (all e non any nelle disposizioni affermative, per esempio).
In secondo luogo, si potrebbe poi rivedere il sistema delle sanzioni, aumentando quelle punizioni fisse da dare in casi specifici e più facilmente valutabili.
Dopoché, ci si metta l’anima in pace: gli errori ci sono stati e sempre ci saranno.
Volerli eliminare in blocco, definitivamente, aggiungendo di volta in volta ulteriori norme e cavilli, non farà che peggiorare la situazione.
Ormai è una somma smisurata di regolamenti ostrogoti che fan solo ed esclusivamente il male della F1. Ormai più virtuale che reale…