Trasumanar e organizzar è l’ultima raccolta di versi pubblicata da Pasolini nel 1971. Trasumanar è un termine usato una sola volta da Dante nel primo canto del Paradiso per indicare il superamento della natura umana e il suo avvicinamento alla divinità. In un’intervista del 1969 a Jean Duflot Pasolini aveva chiarito il significato del titolo che intendeva dare al suo libro dicendo che «l’altra faccia della “trasumanizzazione” (la parola è di Dante, in questa forma apocopata), ossia dell’ascesa spirituale, è proprio l’organizzazione. Nel caso di san Paolo, l’altra faccia della santità, del rapimento al “terzo cielo”, è l’organizzazione della Chiesa». Organizzazione politico-sociale e ascesa spirituale sono dunque per lui strettamente legate.
Com’è stato notato dalla critica più autorevole la grande novità del libro è data dal linguaggio usato. Mentre nella prima parte dell’opera Pasolini indulge ancora ad un linguaggio formale e classicheggiante, nella seconda parte abbandona ogni preoccupazione stilistica componendo versi slegati, senza punteggiatura, che poco o punto si distinguono dalla prosa. «In questi componimenti ogni assetto metrico viene stravolto da una assoluta libertà strutturale e da calcolata noncuranza stilistica». (Enzo Golino).
Non condividiamo però il giudizio di alcuni accaniti estimatori dell’autore secondo cui «la poesia di Transumanar è un raro esempio di come il pensiero possa diventare poesia». (Lucio Marini, La poesia dell’impoetico “Trasumanar”, 5 Luglio 2013). Ed ancora: «Per leggere le poesie di Trasumanar e organizzar occorre prima di tutto molta pazienza: un lettore di poesia novecentesca è abituato a versi brevi e a componimenti brevissimi. In secondo luogo, (…) il discorso (o il discorrere) di Pasolini, veloce, privo di trapassi sublimi, mai ellittico, è sempre, o quasi sempre, la lenta e necessaria preparazione al senso che egli vuole dopotutto rendere esplicito. (…) Si può essere sicuri che ogni sua poesia vuole, essendo antipoetica, dire qualcosa di assolutamente poetico, cioè di assolutamente vero, della verità che gli scaturiva dalla vita fin lì vissuta» (Franco Cordelli, Prefazione).
Di poesia, a nostro avviso, non è il caso di parlare a proposito di quest’opera Non ci stancheremo di ripetere che la poesia non deve argomentare (che è il difetto maggiore della poesia di Pasolini), ma emozionare. Trasumanar e organizzar invece è un’opera molto significativa sotto l’aspetto ideologico e psicologico. È il documento d’una crisi irrisolta. Solo da questo punto di vista si può considerare Trasumanar e organizzar «un libro appassionato».
Prendiamo quella che, a nostro avviso, è la composizione migliore del libro, intitolata “Manifestar (Appunti)”, di cui riportiamo buona parte:
«Manifestar significar per verba non si poria
ma per urli sì
e anche per striscioni; o canzoni;
Sono venuti a rifare il mondo
e, manifestando, se ne dichiarano all’altezza
La forza è nella virilità, come una volta
Ma la gentilezza è perduta
Qualunque cosa si manifesti
altro non viene manifestato che la forza
sia pure la forza dei destinati alla sconfitta
Tutto ciò che non si può significar per parole
non è che pura e semplice forza –
Ma quanta innocenza nel non sapere questo!
Quanto bisogna essere giovani per crederlo!
Poiché la libertà è incompatibile con l’uomo
e l’uomo in realtà non la vuole, intuendo che non è per lui
(…)
Per quanto fitta sia la trama dei doveri di un anziano
qualcosa in essa si è lacerato
e io infatti intravedo l’intollerabile faccia della libertà;
non avendo più grazia e forza
ho cercato allora di difendermi sorridendo, come appunto
i vecchi, che la sanno lunga –
Ma la libertà è più forte: sia pure per poco
essa vuole essere vissuta –
È un valore che distrugge ogni altro valore
perché ogni valore non è che una difesa
eretta contro di lei;
e i valori, appunto, sono sentiti specialmente dai semplici;
dai giovani
(solo in essi, appunto, l’obbedienza è grazia);
è sulle loro schiere che contano i Capi per andare avanti,
sulle loro pulite, innocenti schiere –
Semplicità e gioventù, forme della natura,
è in voi che la libertà è rinnegata
attraverso una serie infinita di doveri,
puliti, innocenti doveri, a cui, manifestando
si grida con aria minacciosa obbedienza,
ché i semplici e i giovani son forti
e non sanno ancora di non poter tollerare la libertà.»
Pasolini, prendendo spunto dalla contestazione giovanile dei suoi tempi, ribadisce il suo giudizio negativo sul ’68. Tuttavia accentua l’ambiguità del suo atteggiamento: da un lato è attratto dai giovani, dalla loro forza, dalla loro grazia, dalla loro innocenza, dall’altro condanna la loro inconsapevolezza che simula la libertà, «poiché la libertà è incompatibile con l’uomo» e loro sono spesso succubi di Capi senza scrupoli e di un meccanismo sociale che vanifica ogni desiderio di libertà. Né le cose cambiano se prendiamo gli anziani, i quali si difendono sorridendo, perché intravedono «l’intollerabile faccia della libertà». «È un valore che distrugge ogni altro valore», osserva Pasolini in modo incisivo e forse con una punta di rassegnata malinconia. Restano infatti gli interrogativi di fondo: non è forse difficile conciliare giustizia sociale e libertà? Non è vero che l’organizzar prevale spesso sul trasumanar? Non è vero che per il trasumanar è comunque necessaria una lunga tenace disciplina che può vanificare la libertà?
Pasolini è un fine intellettuale, che ci costringe a riflettere, ma non un poeta: frase attribuita a Cicerone “Si poema loquens pictura est, pictura tacitum poema esse debet” (“se la poesia è una pittura parlante, la pittura deve essere una poesia silenziosa”).