«Poi mi prende l’emozione/ per Firenze che sta là/ per Venezia che si muove/ e l’eterna Roma è qua»: chiunque si limitasse ad ascoltare le strofe di «Italia», la canzone appassionata di Mino Reitano che dal 1988 risuona, con regolarità, nelle sale da barbiere del «Bel Paese», derubricherebbe, con grossolana superficialità ai danni dell’incolpevole cantautore, l’amore per la bellezza paesaggistica ed artistica del più esteso museo a cielo aperto del mondo, l’Italia, ad un ‘rituale’ melenso per anziani signori, affetti da nostalgia per il (fu) «Paese più bello del mondo». La recente pubblicazione, inserita nella prestigiosa collana dei «Millenni» della Einaudi, dell’opera «Il Rinascimento Italiano. Civiltà ed arte», frutto del genio erudito dello storico svizzero Jacob Burckhardt (C + 1020 pp., ill. col., Euro 95), riporta la ricognizione, lo studio e la descrizione delle meraviglie storiche e artistiche dell’Italia al livello del vero e proprio fenomeno di costume, quale esso è stato per tutta la società colta dell’Europa e, a seguire, del mondo intero, nell’arco cronologico compreso tra il 1700 e gli Anni Cinquanta del Ventesimo secolo. Vissuto tra il 1818 e il 1897, Jacob Burckhardt è stato il tipico esponente della storiografia creata nella «Svizzera felice» di ottocentesca memoria. Come evidenziato dal professore Ghelardi nella brillante introduzione dedicata all’antimoderno storico basileese, l’unicum dell’edizione ivi presentata consiste nel pubblicare per la prima volta, in una raffinata ed attendibile traduzione italiana, «il progetto sul Rinascimento italiano che Jacob Burckhardt aveva creato ed elaborato tra il 1856 e il 1864». Le due parti che compongono il libro sono perfettamente speculari l’una all’altra. La prima parte, scritta per descrivere il dipanarsi dello «Lo Stato come opera d’arte», restituisce minuziosamente ai nostri occhi gli ingranaggi e la mentalità legate alla gestione politica dell’allora frazionata penisola italica dal 1200, dapprima segnato dall’apogeo di Federico II di Svevia al papato di Paolo IV (1555-1559), segnato «dalla diffusa incertezza politica dell’Italia». La seconda parte del libro verte sull’architettura, la pittura, la scultura e tutte quelle arti che, ancora oggi, attraggono milioni di turisti da tutto il mondo verso l’Italia. Dopo il biennio 1846-1848, una volta ispezionato con soddisfazione il patrimonio artistico dello «Stivale», opere a tema sacro quali la «Deposizione» di Antonio Begarelli, o di aggraziata sensualità quale la «Venere di Urbino» di Tiziano Vecellio, venivano descritte con una prosa così elegante ed esperita da fare concorrenza all’ultima guida ‘targata’ «Baedeker». La lettura delle opere consegnate ai posteri dallo storico di Basilea imprimono nel lettore quei valori artistici e intimamente assimilati, di matrice neoclassica e romantica, quali l’armonia, l’equilibrio e la pacatezza estetica, che ciascuno di noi potrebbe immediatamente percepire nelle arti coltivate nel «lungo Ottocento» dai suoi contemporanei, vuoi con la visione degli acquarelli di Johan Jacob Schneider vuoi con i racconti di «Hedi», dovuti alla scrittrice Johanna Louise Spyri, a patto di non considerare, neanche per scherzo, il cartone animato di produzione nipponica che imperversava sul piccolo schermo tra gli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. La lettura, lo studio e la fruizione di quest’opera da parte di un pubblico quanto più ampio possibile sarebbe di indubbio beneficio per tutti: a quando un’edizione economica che avvicini quanti avranno la ‘scusa’ del prezzo sostenuto per ‘sorvolare’ verso altre (inconsistenti) pubblicazioni? Tra i tanti benefici che questo gioiello permetterebbe di arrecare a chiunque lo sfogli, va marcato il ribaltamento, sapiente e mai forzoso, di tutta una serie di triti e volgari luoghi comuni storiografici, divenuti, per pigra ‘consuetudine’, parte del ‘sentire comune’ della stragrande maggioranza dei (non) lettori in materia di Medioevo e Rinascimento. Sarebbe un sogno prendere una pizza con i tuoi migliori amici e non sentire più le solite uccellate su un Medioevo oscuro e un Rinascimento così ‘lucente’ da fare invidia alle ultime campagne di marketing sponsorizzate da «Enel Energia». Burckhardt era solito asserire l’importanza dei mutamenti nella continuità delle linee di fondo della Civiltà Europea: «Ciò che meno ci si aspetterebbe di trovare nell’opera di questi umanisti sono alcuni lavori importanti di storia generale del Medioevo. Nel 1927, sessantacinque anni dopo l’uscita della «Geschichte der Renaissance», dalla irrequieta (e per i Tedeschi irredenta) Strasburgo, il medievalista Marc Bloch, ormai prossimo alla fondazione della rivista «Annales», faceva propria la teoria della continuità, senza cesure nette, tra il mondo classico, il Medioevo e il Rinascimento, già sostenuta dal suo antesignano, e invitava i suoi studenti a diffidare da: «visioni tradizionali (leggi: mummificate ndr), che risalgono all’umanesimo del secolo XVI, le quali ci spingono ancora oggi a immaginare una profonda frattura tra quella che chiamiamo Antichità e quello che chiamiamo Medioevo». Dopo la lettura del Burckhardt, è quasi d’obbligo canzonare tutti quei ‘sapientoni’, chiamateli marxisti da salotto se vi aggrada, che per oltre mezzo secolo hanno distribuito patenti di legittimità (e soprattutto di agibilità) agli aspiranti storici: come osare, a detta loro, dubitare dell’esclusiva paternità di Fernand Braudel, presentato ai neofiti dell’«arte di Clio» come lo scopritore della «lunga durata» nella descrizione dei processi storici? Grazie alla pubblicazione dell’opera «Il Rinascimento Italiano. Civiltà ed arte», la faretra degli storici antidogmatici (chiamateli revisionisti solo se conoscete a memoria il lemma riportato sul «Battaglia») si arricchisce di una nuova, preziosa freccia, da scoccare quando tendiamo l’arco della divulgazione storica in direzione di una società civile ormai lacera, rassegnata e irrispettosa delle proprie, misconosciute radici. Gioire, abbellire ed abbellirsi grazie alla ricchezza inestimabile nostro passato è l’unica strada percorribile per creare un futuro radioso. La stesura dell’opera di Burckhardt è stata concepita, in primis, per appagare le istanze materiali e spirituali di quell’«essere storico» che alberga in ciascuno di noi.
Sulla continuità tra Medioevo ed Età moderna bene non dimenticare Huizinga, L’autunno del medioevo…