Giornale di Bordo.Pandemia e sanzioni: quando anche una vecchia autobiografia ci aiuta a capire gli errori della nostra politica

La chiave per decifrare il presente? Dalla lettura delle Memorie d’un esteta di Sir Harold Acton, pubblicate in Inghilterra nell’immediato secondo dopoguerra ma tradotte in italiano solo nel 1965

Pandemia

Mi è sempre piaciuto leggere i libri di memorie, perché quando raccontano la loro vita e il loro tempo anche le persone più menzognere conoscono sprazzi di sincerità e le più noiose sono capaci di suscitare, almeno in certi frangenti, l’interesse del lettore. Per questo ho scelto per questi ozi preestivi la lettura delle Memorie d’un esteta di Sir Harold Acton, pubblicate in Inghilterra nell’immediato secondo dopoguerra ma tradotte in italiano solo nel 1965.

Avevo una certa simpatia per Acton in virtù del suo saggio sugli ultimi Borboni di Napoli e anche per la sprezzatura, tipica dei grandi signori, con cui una trentina di anni fa, in un ricevimento all’Istituto britannico di Firenze, si presentò con un paio di pantaloni troppo corti, quelli che una volta erano detti “alla saltafossi”. Sarei bugiardo se dicessi che questa autobiografia, scritta quando Acton aveva da poco superato i quarant’anni, mi ha coinvolto più di tanto. Confesso di aver saltato a piè pari alcuni passi in cui parlava di personaggi che non conoscevo affatto e che non mi sembrano nemmeno degni di essere conosciuti. La passione dell’autore per la Cina (o per i cinesi?) mi è parsa un po’ sospetta e i suoi giudizi sul fascismo approssimativi. Ho apprezzato, invece, la demolizione che egli fa della “generazione perduta” degli americani trasferitisi a Parigi negli anni Venti, cowboy alla Hemingway, con le camicie a scacchi, che vivevano in un mondo a parte fatto di cocktail nei bar di Montparnasse e non avevano capito molto della civiltà francese.

Memorie di un esteta di Harold Acton

Ma sono stati due aspetti marginali di queste memorie a colpirmi. Il primo è il fatto che Acton, pur essendo già entrato nell’adolescenza (e che adolescenza: l’adolescenza di un enfant prodige) quando esplose l’epidemia di Spagnola nel 1918 non ne faccia parola, nonostante che i morti legati a questo virus di origine incerta fossero moltissimi e appartenessero a tutti i ceti sociali, compresa l’alta società alla quale, figlio di un nobile inglese e di un’ereditiera statunitense, egli apparteneva. Solo in un passo o due si parla di un amico che non poté partecipare a un incontro a causa di un’influenza, ma nulla di più. Eppure in quegli anni Acton divise la sua esistenza tra la nativa Firenze, dove la sua famiglia viveva nella Villa la Pietra, l’Inghilterra e Parigi. È vero che l’empatia con le sofferenze degli altri è poco congeniale agli esteti, ma è difficile pensare che fra vent’anni chi dovesse scrivere la propria autobiografia riferendosi al biennio 2020-2022 eviterebbe di parlare del Covid. Segno che le tragedie della guerra (da cui per altro il giovanissimo Harold non era stato coinvolto) avevano anestetizzato la compassione o che i meccanismi di contenimento del virus adottati in questi anni hanno drammatizzato (e forse esasperato) un fenomeno che si sarebbe probabilmente sgonfiato da sé? Non esprimo un giudizio; mi limito a insinuare un dubbio.

Harold Acton

C’è però un altro aspetto marginale delle Memorie d’un esteta a indurre a una riflessione. Da sempre antifascista, Acton inveisce contro la scelta di Inghilterra e Francia di non includere nelle sanzioni le esportazioni di petrolio, indispensabile per lo sforzo bellico italiano. Tale invettiva mi ha fatto venire in mente una caratteristica fondamentale di tutti i meccanismi sanzionatori: per mettere in ginocchio la nazione che si vuol punire, la si priva delle materie prime indispensabili al suo sforzo bellico. Esistono, è vero, casi in cui ci si prefigge soprattutto di chiuderle gli sbocchi commerciali: basta pensare al Blocco Continentale imposto da Napoleone per punire l’Inghilterra “nazione di bottegai”. Ma sono gli embarghi di materie prime i provvedimenti più efficaci. È il caso dell’embargo sul petrolio e i metalli imposto a Tokyo, che indusse con un tragico errore la casta militare nipponica alla guerra contro gli Stati Uniti.

Con la Russia, l’Italia sta facendo l’opposto, sfidando non solo il buon senso ma il senso dell’humor. Per punire Mosca, ci priviamo noi di rifornimenti essenziali, indebolendo la nostra economia anche nella prospettiva di un potenziale conflitto. Non solo: facendo salire il prezzo del gas e del greggio, paghiamo più caro quello che continuiamo a comprare da Mosca, finanziando un potenziale nemico. E, per sostituire il gas russo, siamo costretti ad aumentare le importazioni da Paesi di dubbia democraticità e incerta stabilità dell’Africa o ad adottare scelte ben poco ecologiche come il rigassificatore di Piombino, con buona pace della retorica ambientalista.

È di conseguenza molto probabile che l’Italia autosanzionatasi esca dalla guerra con le ossa rotte, mentre la Russia troverà sempre acquirenti per i suoi idrocarburi. Senza gas una nazione come l’Italia ancora per molti anni non può vivere. Senza Netflix o McDonalds si può vivere, anzi decisamente si vive meglio.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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