Angelo Mellone: “Nel trionfo del Taranto (promosso in C) il richiamo identitario del calcio”

L'intellettuale tarantino: "Sono figlio di un altro football: non seguo più la squadra, eppure quando è arrivata la promozione in C ho pianto"

Angelo Mellone, giornalista e scrittore, dirigente Rai, non segue più il Taranto. Da anni. Tifosissimo della Lazio, non ha mai nascosto la sua passione biancoceleste. Anzi. Però il primo amore non si scorda mai. Specialmente se ti parla della tua terra, quella dei padri. Non è questione di retorica ma di richiami, di quelli che non puoi organizzare né prevedere. Ma che ti costringono, nonostante tutti gli impegni e la mole dei pensieri della frenesia del quotidiano, a fermarti. Magari mentre sei in viaggio in macchina. A piangere (finalmente) di gioia.

 

Angelo Mellone, il Taranto è tornato in Serie C.

“Intanto spiegherei ai miei figli perché il Taranto è una squadra che merita di stare nel tabellone dei professionisti. Tanti anni d’assenza dal calcio che conta hanno creato una sorta di gap generazionale. Chi ha meno di trent’anni non ha potuto vivere l’epopea di un club temuto e rispettato in tutta Italia, presenza fissa della Serie B. Il Taranto rappresenta per me il calcio del quale tutti ci siamo innamorati: la curva come momento aggregativo e identitario, le trasferte come rito d’iniziazione. E, infine, l’orgoglio dell’emigrato. Non per forza quello che è partito della città nel dopoguerra con la valigia di cartone ma di tutti i tarantini che, per lavoro o altre ragioni, vivono altrove, in Italia o nel mondo”.

Che squadra è questo Taranto trionfatore del girone H della Serie D?

“Faccio mio quanto ha scritto l’amico e fratello Fulvio Paglialunga: ragazzi, vi ringrazio anche se non so manco come vi chiamate. Grazie a loro, questi “militi ignoti” del calcio tarantino. Ignoti, ovviamente, a me che da qualche anno ho scelto di non seguire più la squadra. Ho un profondo rispetto per chi ha seguito il Taranto ovunque, popolando di passione i campetti più improbabili delle categorie dilettantistiche. Proprio in virtù del rispetto che nutro nei loro confronti, non salgo oggi sul carro del vincitore, non voglio fare il tifoso occasionale, quello dell’ultimo minuto, presente nella gioia e assente nel dolore: io parlo per il passato, per tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta ancora il Taranto per me. Per quanto riguarda il presente, posso dire solo che la vittoria in campionato dei rossoblù mi ha commosso. Nel senso che mi sono proprio messo a piangere in auto, da solo, come un cretino”.

 

Cosa è, dunque, il Taranto per Angelo Mellone?

“È lo stadio da piccolo con mio padre, è il ricordo di mio nonno, che si chiamava come me e al campo non veniva altrimenti si sentiva male. È la curva con gli amici, le trasferte, in pullman e sui treni speciali. La mia prima tessera ultras, con il gruppo dei Rebels Korps: era rossoblù, con l’aquila imperiale. C’era scritto, vado a memoria:

Solo i vili ed i mediocri conoscono il tramonto del Sole e vengono dimenticati, noi siamo eterni e il nostro giorno non conoscerà tramonto. 

La sciarpa del gruppo la conservo ancora, come un totem iconico. È anche il trauma di Pietro Maiellaro che se ne va al Bari: chi lo dimentica il primo derby contro di loro! Sono ventotto anni che manca, quella partita. Tornerà alla prossima stagione. Il calcio è il rito di passaggio per eccellenza, dall’adolescenza al mondo adulto e io l’ho vissuto coi colori rossoblù. Poi ho “tentato” di smettere”.

Perché?

“Ho seguito con passione e costanza fino agli anni ’90, allo spareggio di Ascoli contro la Casertana. Poi è iniziata la discesa e tante cose non sono andate per il verso giusto. È tornato l’entusiasmo nei primissimi anni Duemila, con l’avvento di Riganò e quella poule dei playoff persi col Catania nel 2002. Qualcosa non quadrava, c’era puzza di bruciato. Eppure, qualche anno dopo, ho preso tre multe per eccesso di velocità perché c’era il Taranto a Roma, giocava di nuovo i playoff contro la Cisco, e non volevo perdermela una giornata insieme a un mare di tifosi accomunati dalla fede rossoblù. Perse il Taranto. Come dicevo ho “tentato” a tenere a bada questo sentimento ma non sono mai riuscito a ignorare questo richiamo ancestrale che arriva dalla mia città. Così è successo domenica: ero in viaggio da Roma per Milano e quando il Lavello ha pareggiato sul 2-2 ho avuto un brutto presentimento. Ma il Taranto ha segnato il gol della vittoria e dunque della promozione: mi sono commosso. Ho sentito qualcosa che ho tentato di tenere a bada, non ci sono riuscito”.

Il Taranto è una squadra che si è impressa a fuoco nell’immaginario (anche) degli avversari. Penso alla “mia” Salernitana, per cui i rossoblù rappresentano l’avversario per eccellenza nell’ultima impresa sportiva (in granata) di Agostino di Bartolomei

“Gianluigi Buffon, nei giorni scorsi, ha salutato la promozione di Taranto e Campobasso con un post sui social. Ha scritto su Twitter:

“Ci sono squadre alle quali rimango legato a bei ricordi d’infanzia. Campobasso e Taranto sono tra queste. Complimenti a loro per il ritorno tra i professionisti”.

Ecco, per chi ha più di trenta-quarant’anni, Taranto e Campobasso rappresentano un simbolo del calcio di una volta: delle gite allo stadio, cinque ore prima dell’inizio della partita, della stazione di Bologna in cui si incontravano i treni speciali e gli ultras di mezz’Italia, delle figurine Panini. Io appartengo a quel mondo”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=P4utmxXfF7Q

Quando si parla di Taranto, si parla di Erasmo Jacovone

“È il fantasma e l’angelo di una città. L’unica metafora possibile per descriverlo è quella del signor Scrooge del Canto di Natale di Dickens. È una promessa di Serie A, di ritorno alla grandezza che non è mai arrivata e che a Taranto è stata tolta con la violenza. Succedeva in quegli anni in cui Taranto era una capitale industriale del Sud e d’Italia, e sembrava quasi scontato che la squadra riflettesse, sul campo, l’orgoglio di una città che era diventata la terra delle opportunità per tante famiglie. Così non andò. Ci è rimasto un amore così sviscerato nei confronti di un uomo che se ne è andato più di quarant’anni fa. E testimonia come il calcio sia diventato l’elemento identitario per eccellenza di una città”.

Cos’è Taranto oggi?

“Parliamo di una comunità che si sta riscoprendo in maniera dolorosa e vivace da centro industriale a un altro tipo di città. Lo sta facendo attraverso il tratto identitario della squadra di calcio che rappresenta ancora un grande elemento di coesione sociale e culturale. Lo stadio come luogo d’aggregazione sociale e di riflessione sociale, in cui si incontrano i vecchi ultras e le famiglie mentre sullo sfondo c’è quanto rimane del vecchio mondo industriale. Per questo lo stadio è un luogo centrale dei miei romanzi, da Nessuna Croce Manca a Fino alla Fine. Credo che dopo tanti anni di rapporto asimmetrico e doloroso, Taranto sia in credito con il mondo delle acciaierie: colgano, allora, l’occasione. Il minimo che possa fare l’acciaio è diventare sponsor del club e sostenere, così, la squadra”.

@barbadilloit

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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