Mi sembra doverosa una precisazione: quando andò in onda Friends io ero piccolina (la serie arrivò nel nostro paese nel 1997, quando avevo otto anni) quindi iniziai ad apprezzarla davvero molto giù avanti e alcune battute non si comprendono appieno fino a quando non hai vissuto anche tu delle situazioni analoghe, ma ad essa mi ha sempre legato un affetto profondo e un’ammirazione che ancora oggi persistono. Quando ho letto della reunion, ho temuto il peggio: Indiana Jones e il teschio di cristallo ha insegnato a tutti noi che non sempre i grandi ritorni sono graditi e poco mi rassicurava il fatto che non sarebbe stato un episodio ambientato nel flow della serie ma una specie di memoriale. E infatti, le cose che hanno funzionato in questo lungo de profundis provengono quasi interamente dal materiale vecchio oppure dai momenti “forse non sapevate che…” normalmente relegati ai contenuti bonus del cofanetto blu-ray.
Forse per fare il verso al “reunited apart” di Josh Gad che tanto successo hanno riscosso e che hanno messo insieme cast di rilievo come quello del Signore degli Anelli o di Ritorno al Futuro (consiglio di recuperare entrambi i video su youtube, peraltro), HBO aveva puntato i piedi e aveva deciso di fare una ensemble in grande stile, arrivando a sborsare due milioni di dollari a testa per garantirsi la presenza di tutti e sei i protagonisti.
E però, la maxi reunion non è che aggiunga e non tolga niente al mito. Forse si sarebbe anzi preferito non vedere il set smontato e rimontato, così simile a una casetta in sezione di Barbie o sapere che Courtney Cox si nascondeva il copione tra le mele, cose che innegabilmente tolgono un po’ di magia al tutto. E anche alcuni momenti di forte imbarazzo ci potevano, a noi pubblico e a loro attori, evitare: tipo i quiz con i post-it che fanno il verso proprio a un gioco della serie e in cui i nostri non riescono a dare l’idea di divertirsi davvero (né di ricordarsi molto bene le cose, a essere onesti).
A Friends nel tempo sono state mosse molte critiche e forse questa reunion poteva togliersi un po’ di glitter e glam di dosso e parlarne meglio, poteva sfruttare il fatto che la serie fosse stata stata un’antesignana di temi quali le coppie gay o la maternità surrogata, forse poteva persino dedicare più spazio a quei fan comuni (ma anche meno comuni come il premio nobel Malala Yousafzai) che hanno raccontato di come Friends li abbia aiutati a superare dei momenti difficili nella vita, magari risparmiando sulle comparsate di gente come David Beckham o Kit Harington che con la serie non hanno, in fondo, molto poco a che spartire.
Si poteva anche parlare dei momenti di ansia da prestazione comica di Perry, quand’anche non dei suoi sbalzi di peso e delle denunciate dipendenze di cui lo stesso attore parlò anni fa al Daily Mail e in parte dovuta alla fama che lo travolse all’improvviso. Si poteva, per farla breve, parlare di Friends come fenomeno socio culturale oltreché televisivo e provare a usarlo come una buona scusa per andare a fondo a temi ben più spinosi.
Invece si è voluti rimanere nell’area “bei vecchi amiconi invecchiati” (male, aggiungo io, soprattutto gli uomini) che si ritrovano e che si vogliono subito bene e si rimettono intorno a un tavolo a leggere le battute e si emozionano come la prima volta. Nì, non è molto credibile tutto questo.
Forse lo scopo di HBO era quello di rilanciare la serie o cavalcare l’onda dell’effetto nostalgia, più probabilmente commenta bene il NY Times osservando che nessuno guarda Friends perché gli vengano ricordati i mali del mondo e quindi il tono della reunion è stato volontariamente virato al gioioso, felicione forzato; con buona pace della scimmia Marcel che passerà alla storia come l’unica pecca in 10 stagioni di sitcom.