Irlanda. Un giorno di quarant’anni fa moriva Bobby Sands

La fine nel carcere di Long Kesh, la lunghissima agonia, e l'inflessibilità cieca della Thatcher

Bobby Sands in un murales di Belfast

Su Robert “Bobby” Sands, a quarant’anni esatti dalla sua morte, è stato detto tanto e scritto ancora di più; eppure, la sensazione generale è che troppo spesso non si riesca ancora ad inquadrare perfettamente un periodo, quello a cavallo tra i settanta e gli ottanta, che per la parte settentrionale dell’Isola d’Irlanda è sinonimo di ghetti, guerra ma soprattutto di scioperi della fame e in tutto questo permane un fronte troppo spesso sottaciuto, quello delle carceri: già, quell’istituzione totale che tra il 1976 e il 1981 diviene l’avamposto delle battaglie della fazione repubblicana, sin dalle proteste contro la cancellazione (nel 1976) dello status di prigioniero politico, decisione volta alla mera criminalizzazione degli arrestati per motivi appunto di natura politica, nella misura in cui invece lo Special Category Status (SCS) veniva infatti garantito a partire dal 1972 a tutte le persone che venivano arrestate per cause legate al movimento separatista dell’Irlanda del Nord.

 

Eppure, si fa ancora molta fatica ad inquadrare un fenomeno che nel migliore dei casi è stato etichettato dalla storiografia come una guerra civile (e in parte lo è stata, sebbene non totalmente) “sporca” e a bassa intensità, mentre nel peggiore si tratterebbe di “folklore” o di uno scontro di religioni.

 

Ecco, è proprio in carcere, a Long Kesh, Belfast, che Sands (è il 1° marzo 1981) rifiuta il cibo, dando inizio ai secondi scioperi della fame, dopo esser stato nominato OC (Officer Commanding, comandante dei prigionieri), ricoperta già la carica di PRO (Public Relations Officer) dei detenuti.

Successivamente, il secondo a digiunare, dal 15 marzo 1981 sarebbe stato Francis Hughes, mentre la settimana successiva sarebbe toccato a Raymond McCreesh e a Patsy O’Hara, comandante dei detenuti dell’INLA (Irish National Liberation Army, formazione Repubblicana di stampo marxista-leninista).

Quel fronte diviene presto il fulcro della lotta portata avanti dai repubblicani contro lo Stato britannico, visto che per altro la dirigenza dell’IRA non si era opposta a questa nuova modalità non violenta, di resistenza passiva: anzi, nell’estremo tentativo di dare un segnale, questo sì veramente politico e non meramente bellico, Sands venne candidato per le elezioni suppletive per il collegio di Fermanagh and South Tyrone, al Parlamento di Westminster, dove risulterà essere il più giovane deputato in carica, quello che nel gergo anglosassone si chiama “Baby of the House“, accantonando temporaneamente persino il proverbiale astensionismo repubblicano.

Candidato non tra le fila dello Sinn Féin, bensì come Anti H-Blocks/Armagh Political Prisoner (Armagh, il carcere femminile dove erano rinchiuse le detenute dell’IRA e dell’INLA), Sands vince quel seggio, in quanto unico candidato nazionalista/repubblicano, il 9 aprile 1981 con 30.492 voti, contro i 29.046 del candidato lealista dell’Ulster Unionist Party (UUP) Harry West.

 

Neanche questo però servì, dal momento che la Thatcher, nonostante una timida apertura del suo entourage, si dimostrò inflessibile: alle 01.17 del 5 maggio 1981, Bobby Sands moriva nell’ospedale del carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame e cinque attacchi di cuore.

Il suo funerale si trasformò ben presto nella più grande manifestazione nazionalista mai avvenuta, con nazionalisti giunti da tutta Irlanda per affollare le strade di Belfast e gridare tutta la loro rabbia, mentre nascevano rivolte che si sarebbero protratte per diversi giorni nei ghetti nazionalisti dell’Irlanda del Nord: oltre 100.000 persone si schierarono lungo il percorso del suo funerale, dalla casa di Sands a Twinbrook, West Belfast, fino al cimitero cattolico di Milltown, dove sono sepolti tutti i volunteers dell’Ira di Belfast; i soli venticinque giorni che Sands passò da membro del Parlamento di Westminster, ne avrebbero fatto uno dei mandati più brevi della storia.

 

Intanto, tra il 12 e il 21 maggio, rispettivamente dopo 59 e 61 giorni ciascuno di digiuno, morirono Francis Hughes (e uno dei principali esponenti della PIRA), Raymond McCreesh e soprattutto Patsy O’Hara, che dell’INLA era cuore e simbolo: come se non bastasse, il suo cadavere venne persino restituito mutilato ai suoi famigliari.

Lo sciopero termina il 3 ottobre 1981, lasciando sul campo dieci rivoluzionari (7 dell’IRA e 3 dell’INLA; dieci giovani militanti, nessuno ancora nemmeno trentenne, lasciati morire in successione in poco più di cento giorni), con la vittoria di fatto del Governo inglese, che l’aveva spuntata a fronte di minime

concessioni ottenute dai prigionieri (tra le quali la possibilità di indossare i propri abiti nelle celle).

 

Margaret Thatcher parlò della protesta come dell’”ultima carta dell’IRA”, ma la previsione si rivelò essere clamorosamente sbagliata, in quanto supporto al movimento repubblicano aumentò notevolmente e il partito politico legato all’IRA, il Sinn Féin, crebbe fino a diventare il maggior partito dell’Irlanda del Nord: proprio per questo, forse, il sacrificio di Sands non è stato vano, perché quel modo di combattere, portato alle estreme conseguenze e al martirio avrebbe aperto nuovi scenari, forse al primo vero passo verso gli accordi del 1998.

 

 

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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