Serie Tv. Arsenio Lupin derubato da Netflix, l’appropriazione culturale a senso unico

Rémi Soulié: "E' un eroe francese come d'Artagnan e Cyrano, fa parte della nostra memoria. 'Globalizzarlo' è sbagliato"

L’appropriazione culturale è una strada a senso unico. Un bianco non può interpretare il ruolo di un nero, ma un nero può interpretare quello di un bianco. È sulla base di questa premessa a dir poco discutibile che Netflix si è impossessata dell’opera di Maurice Leblanc per promuovere una discriminazione “positiva” nella persona di Omar Sy in un’impresa di revisionismo letterario che ricorda le ore ricche della Rivoluzione culturale. Come antidoto, la Nuovelle Librairie ha deciso di ristampare uno dei capolavori di Maurice Leblanc, «L’isola delle trenta bare». Abbiamo intervistato il suo prefatore, Rémi Soulié, eminente “lupinologo” e altrettanto eminente membro della redazione di «Eléménts», che fa un bilancio di tutti questi falsari.

 

ÉLÉMENTS. È lei che ha scritto la prefazione de «L’isola delle trenta bare», una prefazione significativamente intitolata «Éloge du (Le)blanc». Il razzismo sta invadendo il campo letterario? A giudicare da tutti i casi che sono arrivati dagli Stati Uniti, sembrerebbe così. Cosa le ispirano tutti questi casi – e soprattutto questo adattamento grandguinolesco di Lupin? Siamo di fronte a un caso di falsificazione?

RÉMI SOULIÉ: La nostra epoca è così paradossale che è almeno altrettanto favorevole alla risata democratica quanto all’apertura di porte lacrimali eraclitee. La fiorente economia del mercato “antirazzista” trae i suoi principali profitti dall’import-export della razza. Si tratta di un nuovo commercio transatlantico che è molto interessante da osservare, soprattutto perché si basa, se posso dirlo, su una moneta scimmiesca eminentemente fittizia poiché, secondo i suoi falsari, la razza non esiste. La prova migliore è che l’abbiamo cancellato dai documenti ufficiali, in stile stalinista (figli dell’illuminismo e del socialismo scientifico, siamo tuttavia tornati ad essere adepti del pensiero magico, come selvaggi e primitivi: la soppressione della parola sopprime la cosa): un tizio è su una foto, un colpo di Photoshop e non è più sulla foto. Se è troppo ovvio, sarà sostituito, naturalmente, poiché la natura aborrisce il vuoto. La “natura” è tutto il problema dell’ecologia “antirazzista”: non la sopporta, la inorridisce. I suoi sostenitori vorrebbero vederla sparire a favore della sola “cultura”. Il sesso? Un costrutto culturale! Razza? Costrutto culturale! Il paradosso di tutte queste deliranti elucubrazioni è, come dovrebbe essere, un gigantesco ritorno del rimosso, che potrebbe benissimo trasformarsi in un “contraccolpo” nel senso della magia nera: non si è mai parlato tanto di razze, e per di più nel senso più stupido e superficiale, quello dell’epidermide, come dalla loro scomparsa ufficiale. L’obiettivo è sempre lo stesso: lo stesso, appunto, per completare l’intercambiabilità universale a cui aspira la matrice-mercato planetaria. “Vogliamo dei robot che funzionino con un legalismo verdastro! “, gridano gli apprendisti stregoni. Per quanto mi riguarda, sono molto contento dell’idea che ci siano Neri, Bianchi, Gialli e Rossi, una razza del corpo, una razza dell’anima e una razza dello spirito. La tragedia è che gli uni e gli altri sono sempre meno audaci.

Dopo la natura, la cultura è ovviamente la seconda vittima di queste frenetiche guardie… rosse (sono un po’ diffidente nell’utilizzare i colori…) desiderose di annientamento, naturalmente in nome del Bene (che, devo precisare, non ha nulla a che vedere con il Bene menzionato da Platone nella Repubblica). Ho capito che una donna bianca non era legittimata a tradurre una donna nera. È favoloso! (Capisco, tuttavia, che Uma Thurman non sarebbe ideale come Angela Davis e che ci sono alcune proteste). In fondo, è l’idea stessa di traduzione che viene presa di mira, e quindi il linguaggio, e quindi il pensiero, sottoposto ai diktat dell’epidermide. Il nostro tempo è il tempo delle “grandi superfici”: tutto ciò che è profondo fa paura e deve essere negato o scomparire. Il pastore dell’Essere doveva quindi rispondere alla volpe sul suo terreno paludoso.

Con Lupin di Netflix, un’altra modalità di traduzione che viene messa in discussione: quella dell’incarnazione. Gli ideologi, che odiano la natura e la Kultur, credono che sia possibile incarnare qualsiasi spirito in qualsiasi carne. Sono trafficanti molto precisi, manipolatori che lavorano per la confusione e la standardizzazione. Lo spettacolo crea chimere, è la sua ragion d’essere; il “reportage universale” di cui parlava Mallarmé è accompagnato da una sfocatura universale, fino alla grande cancellazione. Con tutto il rispetto per alcune persone, posso veramente dire che capisco perfettamente il «Diario di un ritorno al paese natale» di Aimé Césaire perché ho una terra natale. Ma non loro.

 

Netflix

ÉLÉMENTS. Perché leggere Maurice Leblanc oggi? Cosa dice di noi? Di quello che eravamo? Di quello che non siamo più, ma di quello che dobbiamo ridiventare? Appartiene al nostro patrimonio nazionale ancor più che a quello letterario?

RÉMI SOULIÉ: Maurice Leblanc è molto francese, sì, se questa parola significa qualcosa di diverso da “universalmente astratto”, l’unico significato autorizzato dalla gloriosissima Rivoluzione. Lupin è un eroe francese, come d’Artagnan, Pardaillan o Cyrano. È un cavaliere di provincia, uno spadaccino, a volte uno spaccone, un giocatore d’azzardo, un seduttore, che ha brio e senso dell’amicizia. È un uomo profondamente radicato, consapevole della nostra lunga storia cattolica e reale. Lupin fa parte della nostra memoria. Si capisce quindi l’urgenza, per gli oligarchi, di cancellare l’uno e l’altro. Nascondete questo significato che io non posso vedere e, soprattutto, se siete un “cittadino”, iscrivetevi, ri-iscrivetevi! Chardonne diceva che il paesaggio francese per eccellenza era un fiume fiancheggiato da pioppi, e aveva perfettamente ragione. Vedete subito la coorte di furfanti di Socrate accorrere: e le Alpi! e i Pirenei! e la pianura dell’Alsazia! Tutto questo piccolo mondo odia l’Idea e la carne. Di loro si potrebbe dire quello che Nietzsche dice dei cristiani: “Sono i migliori odiatori”.

 

ÉLÉMENTS. Perché questo testo in particolare?

RÉMI SOULIÉ: È probabilmente uno dei più discutibili per Big Other: «L’isola delle trenta bare» è un romanzo bretone, europeo, pagano, cristiano, un romanzo della più antica memoria continentale. È anche uno dei capolavori di Maurice Leblanc, un romanzo sottile e profondo che porta il demoniaco in superficie. Cioè la sua grande attualità. La bestia non è mai così stupida come quando gioca a fare l’angelo.

*Traduzione dal francese di Antonisa Pistilli

 

Revue Eléments*

Revue Eléments* su Barbadillo.it

Exit mobile version