L’attualità dell’insegnamento di don Araldo di Crollalanza

Trentacinque anni fa l'addio all'ex ministro: dopo la guerra fu parlamentare missino per sette legislature

Araldo di Crollalanza affiancato dai parlamentari del Msi

Mentre continua la caccia agli ir-responsabili (con gli appelli che appaiono sempre più una farsa), tra abbozzate acrobazie parlamentari e ipotesi di nuove (e più stonate) “intese”, la memoria di uomini come Araldo di Crollalanza offre una fiaccola inesauribile nel buio pesto della politica da talk show e testimonia una tempra, uno stile differenti che le nostre aule di rappresentanza rimpiangono. Giornalista, fascista della prima ora, podestà di Bari e poi Ministro dei lavori pubblici, trasformò la Penisola in un ‘’cantiere sonante” immaginando una nuova modernizzazione urbanistica coerente con la nostra tradizione artistica e paesistica: a lui si devono le grandi realizzazioni dal Lungomare di Bari alla direttissima Firenze-Bologna, dalla Fiera del Levante alla bonifica dell’Agro Pontino con la costruzione di città come Aprilia, Pomezia e Latina.

Di ispirazione diciannovista e social-rivoluzionaria, Crollalanza cambiò radicalmente il volto del Mezzogiorno e dell’Italia con il pragmatismo efficiente di chi preferiva alle retoriche velleitarie la concretezza delle opere, testimonianza solida della sua lungimiranza e della sua competenza tecnica. Progetti e visioni, non ideologo ma uomo di idee e ideali. Montanelli non a caso lo definì “protagonista atipico del ventennio”, sottolineandone la dirittura morale devotamente posta al servizio del suo popolo e della sua comunità: “l’uomo che aveva costruito città e redento province”, scrisse, “non aveva una casa, né un palmo di terra, né un conto in banca”.

Crollalanza non ripudiò mai le sue idee e non cambiò casacca, pur decidendo di non partecipare al Governo di Salò, diffidente nei confronti di Hitler e della Germania nazista; ricoprì quindi il ruolo di Commissario straordinario per la Camera e il Senato che gli costò, nel 1946, l’arresto e il carcere. Non si nascose: l’onestà con cui aveva adoperato i fondi pubblici fece cadere l’accusa di accumulo dei profitti di guerra. Assolto lo stesso anno, riprese la carriera giornalistica e aderì al nascente gruppo missino candidandosi da indipendente al Senato dove fu confermato per sette legislature consecutive. Bari ricompensava così l’affetto che legava don Araldo alla sua città: da destra a sinistra il podestà mantenne la figura granitica di uomo insieme inflessibile e tollerante, saldo nel proprio credo con la forza gentile di chi aveva pagato sulla pelle la durezza dei suoi principi; senza mai macchiarsi di odio, prepotenze o persecuzioni. E ancora una volta si dimostrò fedele alle proprie battaglie quando, dopo la secessione moderata di Democrazia nazionale, accettò con un nobile atto di solidarietà la tessera del Msi e la presidenza dei senatori missini. Un gesto che ha molto da dire ai pifferai di partito che affollano oggi le stanze del potere e che nulla ha a che fare con geometrie e consorterie di palazzo ritornanti: alla poltrona Crollalanza preferiva camminare tra la gente, ne indagava i malumori e le speranze per rappresentarle materialmente tra gli scranni istituzionali. Tutto il contrario di chi, sordo alle pretese del Paese “reale”, si ricicla in nuovi e logorati incarichi pur di non scomparire nei vortici dell’anonimato da cui proviene.

E’ illuminante un’intervista che don Araldo concesse -come racconta Domenico Crocco- a un giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno:

“Passato, presente e futuro, pur rappresentando tre tempi diversi, hanno per me una continuità ideale che mi è sempre stata di guida. Non rinnego il passato. Mi spiego: sono stato fascista, sono tra i fondatori del Fascio a Milano; sono stato tra i primi ad avvicinare Mussolini, non appena lasciò l’Avanti. Non sono stato un fazioso, non ho mai fatto male a nessuno, non mi sono comportato da cortigiano. Quando il fascismo è caduto, rientrai a Roma e vidi lo schifo di molti che erano stati tra i più faziosi esponenti del fascismo cambiare bandiera. Sono rimasto con le mie idee.”

La destra (se non vuole perdersi nei labirinti della subalternità) riparta dalla memoria e dall’opera dei suoi pionieri e dei suoi riferimenti culturali; contro la sterilità della politica politicante e contro la superficialità dell’opposizione inconcludente. Che non può e non deve dimenticare i suoi maestri.

Domenico Pistilli

Domenico Pistilli su Barbadillo.it

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