Lamù, Ataru e la prigione del sogno

Su Netflix e Amazon il vecchio anime di Mamoru Oshii: atmosfere ipnotiche e asfissianti, la necessità di sconfiggere i fantasmi e l'epilogo di una serie cult

Lamù

I capelli blu di Sakura si perdono nel vento. Le sue gambe lunghe e taglienti come due katane stringono una possente Bmw Gs 850. Bianca, come i ventagli che agita; blu come la notte che si porta dentro.

La vertigine dell’abisso è nella chioma verde di Lamù; la ragazza punta verso il basso, i suoi capelli che trasfigurano, volano al cielo. Tutti si muovono attorno a lei, come lei li desidera: uguali a se stessi. Ha fermato l’attimo. Come avrebbe voluto fare il dottor Faust, come avremmo voluto fare tutti noi, almeno una volta nella vita. Ma non lo ha fatto apposta.

Lamù-Beatiful dreamer è un vecchissimo anime che oggi Amazon e Netflix ripropongono ai loro abbonati. Si tratta del secondo che ha per protagonista la “ragazza dello spazio” e risale al 1984. E degli anni ’80 ha tutto, in primis quelle ansiose pulsioni che durano fino a oggi. Un equivoco, grandissimo, ci agitava allora e ci agita oggi: siamo davvero convinti di volere la vita che ci promettono tutti?

A proposito di equivoci, occorre sgombrare il campo dal primo e più immediato: l’opera di Mamoru Oshii non c’entra niente (almeno in apparenza) con la serie tv. Tanto leggera è quella, anarchica, divertente, irridente e libera, tanto alta è quest’altra, profonda e struggente, filosofica. In rete dicono che i fans, all’inizio, non apprezzarono. Cercavano le marachelle di Ataru, lo trovarono eroe innamorato. Cercavano un lungo episodio che alimentasse la serie, ne trovarono, probabilmente, il suo epilogo. Tant’è vero che Oshii, dopo aver firmato l’opera, lasciò la serie.

Le atmosfere dell’anime sono oniriche, asfissianti e dolcissime. Mi ha ricordato quasi quelle che si respirano tra le pagine de La Casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata. L’unica differenza “onirica” sta nel fatto che Lamù ci precipita direttamente nella fase Rem. Balzi velocissimi, crolli immediati: sorprese e fantasticherie inaspettate e sorprendenti, l’incontrollabile dominio del dormiente. Le emozioni primarie che si alternano, alla velocità del sogno: paura e consolazione, coraggio e disperazione, poi risate e lacrime.

La trama è semplice, quasi scontata: la bella ragazza dello spazio, insieme a tutti i personaggi del suo piccolo universo di Tomobiki, rimane da sola al mondo a vivere perennemente in compagnia degli amici, dell’amore. Un sogno di eterna giovinezza, compiuto dal folletto Mujaki: lei non ha altri sogni che quello di vivere per sempre la sua vita di ogni giorno. Lui lo compie. Ecco il salto: i sogni non sono quella cosa fantastica, spettacolare e bellissima (e innocente) che ci hanno educato a credere.

Già, perché il sogno è una prigione. La fantasticheria che distoglie dal vero lo è sempre stata, le voci di dentro mentono. Ognuno si bea, solenne e presunto demiurgo, tra i fantasmi dell’effimero. Mujaki tenta di rinchiudervi anche Ataru, fino a quel momento fedele a sé stesso: vano, leggero, semplice fino al risultante quasi irritante. Eppure, Ataru – forse proprio per quella sua semplicità che è quasi archetipo mitico – è inafferrabile persino al folletto che tesse i sogni. Mentre tutti sono nella gabbia della fantasticheria, dell’autoconsolazione, Ataru prima si lascia portare all’interno del suo sogno, lo attraversa tutto e poi lo esorcizza.

Con la forza dell’amore che prova per Lamù e che, per compiersi, non può che agire nel reale.

@barbadilloit

Giovanni Vasso

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