L’Unione Europea, i mercati e il Mes: le difficoltà a destra sull’economia

Il centrodestra si divide sul tema tra adesioni entusiastiche o pregiudizi grossolani. Il dibattito non ingrana e rimane (troppo) asfittico

Bandiere europee

Occuparsi di economia? Al riguardo, sul mondo della destra pesano ipoteche diverse, comunque incapacitanti. Qui, prima di affrontare qualche tema di attualità, ci limitiamo a citarne due: la prima, dipende dagli interdetti emessi da due grandi sacerdoti della cultura di destra, Ezra Pound e Julius Evola, che hanno lanciato i loro – giusti, a mio avviso – strali contro il capitalismo liberale, la deriva finanziaria dell’economia e, in generale, contro la visione economicistica della vita e della politica, insomma, contro “la demonia dell’economia”.

La seconda consiste nell’identificazione di “destra economica” con la concezione privatistica e liberale dell’economia stessa, in chiave, ancora una volta, capitalistica. Molte deviazioni, molti fraintendimenti dell’attuale politica teorizzata e in parte praticata dal centrodestra nostrano sono da attribuire proprio a tale ibridazione fra visione liberale e visione “nazionalistica” dell’economia (si pensi alle difficoltà di elaborazione di una politica industriale condivisa o all’accettazione di una nozione fondamentale della cultura economica “di destra” quale la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese). Il discorso sarebbe lungo ed esulerebbe dagli scopi e dai limiti di queste note. Tanto per introdurre un elemento spiazzante nel dibattito – asfittico – sull’argomento, basterebbe riconsiderare gli storici accostamenti tra la visione sociale del fascismo e l’anticapitalismo di socialismo e comunismo anni ’50.

La morte delle ideologie

Il problema sta nel fatto che, parafrasando un noto detto, “puoi anche non occuparti di economia, ma l’economia si occuperà di te”, e oggi occuparsi di economia significa sì fare politica, ma soprattutto riflettere sulle categorie della politica, prima fra tutte la sovranità. Sotto questo profilo, appare evidente che la presunta morte delle ideologie, il crollo dell’impero sovietico, la progressiva affermazione della globalizzazione in tutti i campi (incluso quello sanitario!), l’intensificazione dei flussi migratori, l’avvento dell’Unione Europea con tutto il suo corollario di Trattati e Istituzioni derivanti hanno ridisegnato identità e schieramenti; ma la portata e le conseguenza di tali fenomeni non sono del tutto chiari a non pochi soggetti politici.

L’esempio più nitido di simili incertezze e dato dagli “aiuti” comunitari ai paesi aderenti maggiormente colpiti dall’emergenza Covid, col Mes in prima fila. Limitandoci all’Italia, si sono creati due schieramenti che hanno rimescolato i classici posizionamenti: da un lato, le forze a favore dell’utilizzo di quella linea di credito, e cioè PD con i suoi alleati di governo, escluso il Movimento Cinque Stelle, e Forza Italia; dall’altro, la Lega, Fratelli d’Italia e i pentastellati.

Mes da vicino

Sgombriamo subito il campo da un argomento grossolano agitato dai fautori del Mes: diverso da quello che devastò la Grecia, sarebbe privo di condizionalità, ad eccezione del vincolo di destinazione (maggiori spese sanitarie connesse col Covid), e sarebbe conveniente per il regime di tassi; ne discende il paragone con aziende e famiglie: chi preferirebbe un mutuo più oneroso (il ricorso al marcato dei titoli di Stato) a uno meno caro (il Mes, appunto)? Costoro dimenticano che, diversamente dall’acquisto di un appartamento o di un macchinario, l’accesso al Mes implicherebbe una condizione di fondo, ineliminabile perché connessa ai Trattati europei, una condizione politica finalizzata a modellare istituzioni e società contro la volontà dei popoli interessati, attraverso una “sorveglianza rafforzata” sul debitore (aumento delle disuguaglianze, compressione o eliminazione dei diritti dei lavoratori, mortificazione dei corpi intermedi e appiattimento delle classi sociali, progressiva eliminazione delle sovranità nazionali e, in genere, delle autonomie locali: si pensi, per quest’ultimo caso, al “patto di stabilità”).

E tralasciamo gli argomenti di natura tecnica, a partire da quello per cui una norma primaria (i Trattati) può essere modificata o addirittura abrogata soltanto da una norma di pari rango (quindi non da un semplice negoziato), o quello per cui il creditore privilegiato (cioè il Mes) può concedere tassi di favore in quanto rischia di meno, o ancora quello per cui le spese sanitarie relative al Covid non raggiungerebbero il tetto dei famosi 36 miliardi (è stato calcolato che le “maggiori spese” derivanti dalla pandemia, in base alle percentuali fissate negli accordi, non supererebbero i cinque miliardi, cifra risibile in un bilancio statale, per acquisire la quale bisognerebbe vedere altre porzioni di sovranità).

Quale soluzione?

Fatto sta che l’Italia, priva – come gli altri partner europei – della leva monetaria, dispone soltanto di due fonti di approvvigionamento finanziario: il gettito fiscale e il ricavato delle aste dei titoli di Stato (questi ultimi peraltro, destinati a fronteggiare le scadenza dell’immenso debito pubblico e a pagarne gli interessi). Ogni altra iniziativa volta, ad esempio, al salvataggio di questo o quel comparto o territorio, ogni vincolo di destinazione delle risorse  non contemplato dai Trattati europei, ogni progetto indirizzato nella direzione della crescita o del riequilibrio sociale, viene assoggettata al vaglio draconiano di quell’Unione che non diventerà mai Istituzione sovranazionale politica e democratica.

Si aggiunga la tirannia dei mercati, facile da esercitare nei confronti di una politica ormai asservita all’economia e dimentica delle sue stesse prerogative, che le impongono di adottare criteri diversi dalla redditività, nel governo dei popoli.

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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