Caso coronavirus (di E.Nistri). L’autolesionismo di morire per gli involtini primavera

Involtini primavera, tipici della cucina cinese

A leggere i commenti di certi gazzettieri, si avverte l’impressione che la loro massima preoccupazione non sia l’epidemia proveniente dalla Cina, ma il fatto che i ristoranti cinesi rimangano vuoti e che si diffonda la “sinofobia”, ovvero la xenofobia nei confronti dei cinesi che il coronavirus potrebbe alimentare. È l’estrema forma dell’autolesionismo dell’Occidente. Certi commentatori, ma anche politici e scienziati, parrebbero più felici di morire d’influenza, ma “democratici e antifascisti”, che essere tacciati di razzismo. I presidenti di alcune Regioni e della provincia autonoma di Trento che hanno cercato d’imporre una “quarantena bonsai” nelle scuole agli studenti di ritorno dalla Cina è stata presentata come una speculazione politica, come se non fosse una speculazione politica anche il gesto di alcuni sindaci di abbracciare cittadini con gli occhi a mandorla, visto il peso economico ed elettorale di molte China-town. Oltre tutto, visto che un vaccino contro il coronavirus non è stato ancora isolato, che le mascherine pare servano a poco e che non esistono antivirali specifici, la prevenzione rimane l’unico rimedio praticabile, prima che l’epidemia si trasformi in pandemia.

Il culmine della follia è stato raggiunto dal Tg1 del 4 febbraio scorso, con un servizio plaudente all’iniziativa di una writer (tradotto dall’inglese: una imbrattamuri) che ha disegnato un murale con l’immagine di una ristoratrice cinese, inneggiante a non aver paura del virus. Così la Tv di Stato, pagata col denaro del contribuente prelevato forzosamente dalla bolletta della luce, fa l’apologia di una forma ormai diffusa di vandalismo, che costringe molti condomini a spese non indifferenti per intonacare le facciate.

C’è chi, per criticare quanti manifestano preoccupazione per la diffusione del virus, cita il Manzoni dei Promessi Sposi e le pagine sulla peste e gli untori. Dimentica però, sempre nel capolavoro di don Lisander, altre pagine, quelle dedicate all’aristotelico don Ferrante, che quando scoppiò l’epidemia a Milano non prese alcuna precauzione, convinto in base ai suoi sillogismi che la peste non esistesse, perché non era “né sostanza né accidente”. E morì prendendosela con le stelle, “come un eroe del Metastasio”. Ma il guaio dei don Ferrante dei nostri giorni, che minimizzano i pericoli del contagio per non inimicarsi la Cina e le comunità cinesi, è che non rischiano di morire solo loro, ma tanta gente che avrebbe voglia di vivere e non di morire per gli involtini primavera.

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Enrico Nistri

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