Cultura. Giovanni Gentile e la scuola: il valore ancora attuale di una riforma lungimirante

Giovanni Gentile

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La scuola nella società post-moderna vive una crisi che taluni ritengono ormai irreversibile. Del resto, l’incontrastato dominio dei valori mercantili, richiede la negazione di qualsivoglia tradere, di qualsiasi forma di trasmissione di valori e tradizioni. Anzi, le qualità che nel mondo contemporaneo vengono esaltate e ritenute indispensabili, con lo scopo di render agevole l’adeguarsi ai repentini e profondi cambiamenti indotti dai nuovi sistemi produttivi informatizzati e robotizzati, sono la flessibilità e l’assenza di riferimenti stabili sul piano socio-esistenziale. In una realtà siffatta, in qual modo potrà mai sopravvivere un’istituzione come quella della scuola, sorta per trasmettere valori consolidati alle nuove generazioni? In un mondo che nega qualsiasi forma di limes, come può pretendere la scuola di formare dei cittadini consapevoli? Cittadini, inoltre, di quale polis, tenuto conto dei processi omologanti innescati dalla globalizzazione in atto?

   Sul ruolo della scuola e dell’educazione si interroga un volume che raccoglie un nutrito numero di scritti in tema di Giovanni Gentile, curata da Hervé A. Cavallera, il più noto studioso di filosofia attualista in Italia, nelle librerie per i tipi di Scholé (pp. 207, euro 16,00). Il libro è strutturato in tre sezioni: La pedagogia e la didattica, La riforma della scuola, La cultura. Si tratta della prima silloge organica, nel nostro paese, degli scritti pedagogici del filosofo di Castelvetrano, presentati in ordine cronologico. Ciò consente al lettore di rilevare eventuali modifiche, intervenute nel corso del tempo, rispetto alle tesi sostenute in partenza dal pensatore. Oltre ciò, il volume offre strumenti di giudizio relativi all’azione pubblica svolta da Gentile, sempre animata dalla lodevole e inattuale intenzione di stringere in uno, l’educazione e l’etica. Al termine della lettura non si può che condividere questo giudizio di Cavallera: «L’attualismo di Gentile in sede educativa, e non solo, è (stato)[…]un elemento propulsore della vita culturale italiana del Novecento i cui esiti non si sono ancora esauriti» (p. 19).

   Per troppo tempo su Gentile è gravato il pregiudizio politico, che ha, quantomeno, ostacolato la diffusione e la riflessione, sine ira et studio, attorno alle sue opere. Sotto il profilo teoretico il suo contributo è stato rilevantissimo, e non più trascurabile. Per questo, per discutere della sua pedagogia, è necessario muovere dagli assunti speculativi del sistema. In esso, egli ripensò i presupposti dell’idealismo classico, pervenendo alla: «risoluzione di tutto il discorso speculativo al pensiero in atto» (p. 11). Dissolse, pertanto, i momenti della dialettica hegeliana nell’unica realtà del pensiero attuale, postulando, in modalità radicale, una visione monista del mondo. Essa presuppone a fianco dell’Io trascendentale, il pensiero in atto, gli io empirici, il pensato. L’Io che pensa, nel pensare si universalizza individuandosi e s’individua universalizzandosi. Questa la tesi centrale del volume, Teoria generale dello spirito come atto puro. La filosofia coincide con la sua storia, con il suo farsi. Gentile riteneva, peraltro, di potere ravvisare delle intenzioni comuni nel cristianesimo e nell’attualismo, visto che, a suo dire, tali tradizioni miravano alla: «redenzione divina dell’uomo» (p. 13).

   Il tema educativo è consustanziale al processo del reale che si mostra come universalizzazione. La pedagogia, come viene riferito nel Sommario di pedagogia, coincide con la filosofia: in ciò il superamento attualista delle posizioni herbartiane, ritenute assolutamente riduzioniste. La didattica non può mai essere confezionata a tavolino, ma deve essere individuata sul campo dal docente. Questi deve intendere la disciplina quale: «concordia d’animi che si instaura quando gli alunni veramente apprendono e si è tutt’uno, maestro e allievi» (p. 14). Fondamentale risulta, anche sotto il profilo della prassi educativa, la distinzione delle forme dell’Io: Io, non Io, Io come unità di sé e dell’altro, che si ripropone nei momenti dell’arte, della religione e della filosofia. La riforma organica della scuola di Gentile, risentì profondamente di tale triade. Nella scuola elementare, per il pensatore di Castelvetrano, avrebbe dovuto, infatti, prevalere la soggettività del discente, che avrebbe dovuto conformarsi alle regole (oggettività) nella scuola secondaria, per pervenire, infine, alla filosofia: «all’unità in fieri della scienza nell’università» (p.15).

  Da riformatore Gentile si spese per avocare allo Stato l’obbligatorietà dell’insegnamento primario e per reinserire l’insegnamento della religione nella scuola, in quanto l’educazione deve fornire: «una fede, un senso della vita e del dovere ai bambini» (p. 16). Nella riforma del 1923 introdusse la scuola materna, rese obbligatoria la scuola elementare, divisa in due cicli, al termine dei quali era d’obbligo sostenere un esame mirato, pur tutelando la libertà di insegnamento, al fine di verificare il rispetto dei programmi e la congruità della valutazione degli alunni. Il suo discepolo, Giuseppe Lombardo-Radice, collaborò alla definizione di tali presupposti della riforma, sottolineando la necessità di lasciar spazio alla letteratura popolare e alle attività ricreative. Gli istituti medi, invece, furono distinti in primo (propedeutico) e secondo grado. Alla scuola principe, il ginnasio-liceo si accedeva, previo esame, alla fine del corso elementare. Al fine di consentire il proseguimento degli studi nelle facoltà di Scienze e Medicina, fu istituito il liceo scientifico (corso quadriennale). Dal punto di vista metodologico, Gentile insistette sulla lettura diretta dei classici, rispetto ai quali doveva essere subordinato l’uso dei manuali. Le discipline venivano, inoltre, presentate, da un punto di vista storico nei loro sviluppi.

  Durante il fascismo, il filosofo ricoprì importanti ruoli pubblici: fu Ministro, ma si dimise dopo il delitto Matteotti, Presidente dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura, ma a seguito di contrasti con Starace lasciò l’incarico, Regio Commissario della Normale di Pisa, Direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana, alla quale chiamò a collaborare il meglio della cultura del tempo, senza badare alle casacche politiche. Nonostante ciò, le sue opere, nel 1934, furono messe all’Indice dal Sant’Uffizio. Gentile fece della coerenza una scelta di vita e per questo pagò un tributo altissimo, a differenza di altri, alla causa politica che aveva spostato: fu assassinato.

   La scuola italiana, oggi al collasso, non può che guardare alle sue opere e al suo esempio umano, al fine di uscire dallo stato comatoso nel quale oggi si dibatte mestamente. 

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Giovanni Sessa

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