Il punto (di E.Nistri). Le prossime sfide per la Meloni (che superò da destra Forza Italia)

Giorgia Meloni, dalla sua pagina Fb

Se non temessi di essere accusato di fare della facile ironia, sarei tentato di osservare che Giorgia Meloni è riuscita in quello che Gianfranco Fini non era riuscito a fare: superare Berlusconi nei voti, addirittura, nel caso umbro, doppiandolo. Quante volte, dal 1994 fino al 1999 e all’autogol dell’Elefantino, mi sono sentito ripetere da sogghignanti dirigenti di An che quella di Forza Italia era un’avventura effimera, e che ne avremmo presto ereditato voti e strutture! Purtroppo, però, Fratelli d’Italia ha superato un partito ridotto ormai ai minimi termini, in cui “l’autunno del patriarca” (o, secondo i maligni, dell’oligarca) potrebbe preludere alla diaspora delle sue diverse anime. Il declino del berlusconismo in realtà è cominciato più di dieci anni fa, quando, tornato trionfalmente al governo, assimilato quanto rimaneva di un’Alleanza Nazionale rosa dalle lotte correntizie e dai tatticismi di Fini, Berlusconi emarginò, proprio in pieno pontificato di papa Ratzinger, intellettuali di valore come Marcello Pera, che non era certo un Gentile, ma aveva rivisto molte delle sue posizioni neoliberiste. E invece si mise nelle mani di politicanti disposti a tutto, in primo luogo a tradirlo, come il Griso di manzoniana memoria.

Quando poi, in seguito alla rottura con Fini, restituendo il vecchio nome al partito, ribattezzò il Popolo della Libertà Forza Italia, fu lo stesso Berlusconi, molto probabilmente, a suggerire a un gruppo di ex An disposti a riconoscersi sotto quella sigla di fondare un nuovo movimento. Era una scelta da marketing commerciale, che aveva una sua logica: senza un partito in cui riconoscersi molti voti di destra sarebbero andati dispersi, indebolendo la coalizione. Ma quella che nelle intenzioni di Berlusconi sarebbe dovuta essere una sottomarca ha finito per avere la meglio sull’originale: logiche aziendali e logiche politiche non sempre collimano.

Oggi a Fratelli d’Italia potrebbero schiudersi prospettive di ampio respiro, ben più ampie del recupero di un elettorato post-missino incapace di riconoscersi nel “partito di plastica”. Esistono molti elettori di destra che non amano Berlusconi ma non si riconoscono nell’esuberanza polemica di Salvini, meridionali che hanno ancora il dente avvelenato con i “nordisti”, scontenti della Lega (ce ne sono sempre, in ogni partito che è andato al governo e non sempre ha soddisfatto le aspettative di chi l’aveva sostenuto), e magari elettrici donne che votano più volentieri una leader al femminile.

La sfida culturale

Inoltre, a differenza del Carroccio, alle prese con le note difficoltà finanziarie dovute alla rovinosa gestione pre-salviniana, Fratelli d’Italia potrebbe contare sul “tesoretto” della Fondazione Alleanza Nazionale. Si tratta di un tesoretto tutt’altro che disprezzabile, in beni immobili e soprattutto in liquidità, finora congelato per i veti incrociati di troppi “ex” che ne detengono il controllo. Naturalmente, sarebbe contro la legge utilizzarlo per stampare volantini o pagare gli attacchini (del resto la politica oggi non si fa più con i volantini e i manifesti). Ma promuovere convegni, finanziare scuole di partito, sovvenzionare serbatoi di pensiero non dovrebbe esulare dai compiti statutari. Purtroppo Fratelli d’Italia più che l’eredità materiale di An, ha acquisito il suo passivo morale: il passivo di un partito logorato dalle strambate di Fini e dalle lotte correntizie, in cui il progetto politico originario era stato stravolto in molte realtà dalla collusione fra veteromissini pragmatici sino al cinismo e transfughi della prima repubblica entrati nel partito a caccia di preferenze e di prebende. 

Il potere coattivo

Anche per questo è improbabile che Giorgia Meloni possa ribaltare i rapporti di forza all’interno del centro-destra. Forse non è nemmeno necessario. L’importante è che la “Regina di Coattonia” sappia far valere quello che i politologi chiamano il “potere coalittivo” (detto in altri termini: senza di lei la coalizione non vince) per collocare, quando il governo giallo-rosso andrà a casa, gli uomini giusti al posto giusto, specie nei centri di potere culturale. La ragazza è intelligente e sensibile: la ricordo quando, alle interminabili logomachie delle Assemblee nazionali di An, si commuoveva perché nei suoi discorsi Fini aveva parlato di “identità”. A parte quando il suo collegio “sicuro” alle provinciali romane si rivelò meno sicuro del previsto, è stata anche fortunata, cosa che in politica non guasta, ma non basta. Senza un po’ di fortuna non si diventa ministri a trentun anni. Ma senza temperamento e capacità, non si reinventa a trentacinque un partito.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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