Tarantelle. La resa del Conte: i panni sporchi si lavano al Senato

Di Maio e Salvini

Non è stato bello assistere al dibattito parlamentare culminato con le dimissioni del premier Giuseppe Conte. È stata un’esperienza oggettivamente moscia, poco eccitante. Più che una disfida politica s’era alla resa dei conti, ai panni sporchi che si lavano in Senato.

L’ex (per ora) presidente del Consiglio ne ha dette di ogni a Salvini che, a sua volta, gliene ha rintuzzate parecchie. Quindi ha parlato l’altro Matteo, Renzi, che per la prima volta da lungo tempo si è rivisto al centro del ring parlamentare. E mentre tuonava la Taverna, ecco che la Lega ha ritirato la mozione di sfiducia al governo di cui, date le mancate dimissioni dei suoi ministri, ancora fa parte.

Chi non ha parlato è stato Luigi Di Maio. Sfinge? Manco per sogno. Annuiva e ribeccava a gesti le parole dei suoi avversari. Sia detto con rispetto per le antiche mamme, sembrava una di loro che – tradita in pubblica piazza dall’esuberante marito lumbard – ora soffre le offese e ora prende gusto dalle parole di chi ne difende l’onore e le ragioni.

Fuori dalle aule, dentro il calderone dei social si scatenano i parentadi, dell’uno e dell’altro. I primi che rinfacciano l’onestà, i secondi che li esorcizzano buffoni. Intanto, quelli che sanno, si richiamano moralisti ai bei tempi antichi quando la politica era fatta da uomini assennati e bene educati con l’unica tensione ideale della concordia civile. Lo sanno tutti che non è mai stato così e che mai lo sarà: perfino Marco Furio Camillo, che Roma salvò dai Galli, ebbe a soffrire pervicaci opposizioni e pretestuose accuse. Ma vuoi mettere il piacere di fare la predica agli altri?

 

Alemao

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