Il racconto (di G. Del Ninno). Se d’estate emerge il peso insostenibile della modernità

Che ci si prenda una pausa sotto l’ombrellone o all’ombra di un larice, l’estate induce pensieri leggeri e spazza via per un momento ahimè troppo breve il frastuono di argomenti “seri”, contro i quali nulla possiamo. Sfumano così nella calura le polemiche su Carola e i migranti, i rubli alla Lega e le autonomie regionali, le elezioni anticipate e la manovra economica prossima ventura. Vedo i miei nipotini scartocciare un appetitoso gelato dall’irricordabile nome inglese (o segni dei tempi!) e mi soffermo sul prezzo pagato: cinque euro per due gelati…

 

Sulle prime, quel prezzo l’ho trovato “normale”, proprio come loro, ma subito dopo mi sono detto che troppi prezzi, troppe cose ci siamo abituati a considerare “normali”: il costo di un’utilitaria o quello di un appartamento, la tassa per la raccolta dei rifiuti, il biglietto di un concerto… Alcune spese ci sembrano addirittura irrisorie, rispetto al passato: e fra queste figurano di certo il cinema nelle sale e i viaggi in aereo. Ma… C’e più di un “ma”.

 

Siamo in spiaggia, o lungo un sentiero di montagna, l’ho detto, e non è certo il caso di rimestare il pentolone della polemica anti-euro; tuttavia, magari a beneficio dei miei nipotini, qualche considerazione banale la voglio fare, e anche se per loro – generazione fortunata? Ceto sociale privilegiato? – e’ invece “normale” praticare più di uno sport e andare in settimana bianca, passare dalla casa al mare dei nonni a quella in montagna degli altri nonni, e’ giusto che sappiano come è stata l’infanzia di questi nonni, borghesi allora e borghesi oggi.

 

Senza riandare ai giornalini a fumetti, che costavano venticinque lire e raccontavano le storie di Capitan Miki e Pecos Bill, e che mamma mi comprava quando avevo la febbre, comincio dalla fine della mia infanzia, cioè da quando, ancora adolescenti, io e la ragazza che sarebbe diventata mia moglie sedevamo su una panchina dei giardinetti sotto casa, a scambiarci timidi baci e bruscolini, acquistati per dieci lire al distributore automatico del bar di fronte. Poi magari si prendeva il tram, per andare in centro, a passeggiare e a scambiarci altri baci, in qualche villa meno squallida dei giardinetti di quartiere. Si, cari nipotini: niente scooter, niente gelati e, figuriamoci!, niente shottini… E, soprattutto, niente paghetta.

 

Le cose non sarebbero cambiate, sotto il profilo della frugalità, neppure dopo sposati (pochi mesi dopo quella panchina…). Il mio primo stipendio – impiego privato, con orario lungo – era di ottantamila lire, appena sufficiente a pagare l’affitto, le bollette, e la spesa quotidiana; e lo sfizio di un cinema o di una pizza e subito dopo, il mantenimento del primogenito, si dovevano all’aiuto dei miei genitori. A proposito di spesa: ho ritrovato i foglietti sui quali appuntavamo gli approvvigionamenti del giorno e i relativi costi; non si arrivava a mille lire al giorno. Come dite? In euro sarebbero 50 centesimi? E no, non è così automatico il calcolo…

 

Il fatto è che non è possibile paragonare il corso e il valore della lira a quelli dell’euro. Esempi alla spicciolata: biglietto del tram a 15 lire, benzina a 160 lire al litro, edizioni economiche dei libri  mediamente a 750 lire (i famosi e benemeriti Oscar Mondadori!), cinema di prima visione a 500 lire, canoni di affitto in città come Roma e in quartieri residenziali intorno alle 35/40mila lire…

 

Peppone, icona del Pci ideata da Guareschi

Ricordo che la mia prima auto nuova fu una Fiat 500, pagata poco più di mezzo milione di lire (siamo nel 1970), e il mio stipendio nel frattempo era aumentato a 200.000 lire… Vuol dire che con due stipendi e mezzo avrei potuto comprarla. Pensate a una qualunque city car di oggi: quanti salari medi occorrerebbero?

 

E’ vero: le nostre abitudini sono cambiate e soprattutto abbiamo sviluppato desideri ed esigenze una volta inesistenti o latenti. Vacanze in luoghi esotici, progetto Erasmus, sport, doppia o tripla auto e scooter in ogni famiglia della media borghesia, settimane bianche – l’abbiamo detto – case di proprietà (gli affittuari sono ormai esigua minoranza), e così via. Pensate, esisteva il contratto telefonico “duplex”, cioè in condivisione con altro utente, per chi non poteva permettersi il “simplex”, e per telefonare fuori casa c’erano le cabine con l’apparecchio a gettone (da duecento lire), scomode, ma anche un po’ romantiche…

 

Insomma, questo scenario in bianco e nero era un po’ quello di film come “Poveri ma belli”, animato da gente piena di energie e di sane speranze, capace di  godersi la vita col poco a disposizione e di coltivare, soprattutto, sogni senza nevrosi e depressioni. Tutto quello che di negativo viviamo oggi è colpa dell’euro? Sarebbe davvero ingenuo e semplicistico pensarlo: tanto per restare al cinema, basti pensare al ciclo di Peppone e don Camillo, quando la lotta politica non aveva i toni e l’odio di oggi e l’euro o la lira non c’entravano; ma certo quella moneta stampata da “Altri” un ruolo, nel nostro declino, c’è l’ha avuto.

 

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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