L’intervista. Nistri: “Europee? Noi per l’interesse nazionale contro i grigi tecnocrati”

Elogio dell’Interesse nazionale

Prosegue il ciclo di interviste sull’Europa di Barbadillo. Oggi presentiamo le riflessioni di Enrico Nistri, scrittore e intellettuale controcorrente, già tra i fondatori della Nuova destra italiana.

Professor Enrico Nistri il 26 maggio può essere inteso  come bivio per l’Europa. Cosa c’è in ballo in queste elezioni?

“Per la prima volta, forse, il processo di unificazione europea quale si è venuto realizzando nel corso degli ultimi trent’anni viene messo in discussione da una larga parte dell’elettorato, non solo da isolati movimenti antisistema. Non credo però che, qualunque sia il voto, l’Ue sia in pericolo, anche perché le vicende della Gran Bretagna post-brexit hanno dimostrato quanto sia problematica l’uscita dall’Europa anche per un’isola. Figuriamoci per una penisola come la nostra”. 

Quali sono i temi dirimenti per l’area politico-culturale patriottica? 

“Non credo che sia in discussione la moneta unica. Ormai appare evidente a tutti che l’uscita dall’Euro avrebbe costi altamente superiori ai benefici. Oltre tutto, come si legge in tutti i manuali di scienza delle finanze, ogni cambio di moneta comporta un processo inflattivo, che non mi auguro. Il tema centrale dovrebbe essere la difesa dell’interesse nazionale, anche in materia di politiche migratorie, e il ridimensionamento di un’euroburocrazia non solo costosa e soggetta alla pressione delle lobby, ma arrogante nella sua pretesa di entrare nei più diversi aspetti della vita quotidiana. Ciò premesso, mi sembra sbagliato dare la colpa di tutti i mali all’Unione Europea. La crisi economica di cui ancora stiamo scontando le conseguenze è venuta dagli Stati Uniti d’America, per tacere delle aberrazioni del politicamente corretto. Anche se noi europei non ci siamo andati leggeri. Pensi alle proteste delle femministe a Cannes contro Alain Delon, o alla proposta di legge olandese per imporre anche agli uomini di fare la pipì seduti, in nome dell’uguaglianza dei sessi”.

Enrico Nistri, scrittore

Molti movimenti nazional-populisti criticano l’Europa. Eppure proprio l’Europa è stata un mito fondante per intere generazioni di militanti di destra. Qual è la visione dell’Europa della destra identitaria?

“L’Europa è stata un mito romantico per molte generazioni di militanti di destra, fra cui la mia. Si guardava al Vecchio Continente quasi come un’alternativa etica al materialismo del collettivismo sovietico e del capitalismo statunitense. In realtà proprio nell’epoca del miracolo economico l’Europa si stava americanizzando. Il passaggio dalla prosa alla poesia, negli anni ’90, è stato comunque traumatico. Vorrei fare presente che, al di là dell’amarcord di chi era schierato a destra negli anni ’60 e ’70, l’Europa degli anni ’50 e ’60, nonché dei primi anni ’70, corrispondeva con un’Europa occidentale cattolico-liberale minacciata dalla pressione sovietica. Il Pci l’osteggiava, prima di appropriarsi dell’europeismo grazie al coinvolgimento di un intellettuale che comunista non era come Altiero Spinelli.

L’apertura a Est dell’Europa dopo l’89, per altro doverosa, ha comportato ripercussioni negative sotto il profilo economico (basta pensare alla riduzione dei contributi UE alla nostra agricoltura), ma positive sotto quello politico. Nazioni come la Polonia o l’Ungheria, che troppe volte conobbero invasori provenienti dall’Ovest o dall’Est, non vogliono ora subire invasioni da Sud”. 

La cultura della destra profonda, quella rivoluzionario-conservatrice, non è intrinsecamente europeista e sociale?

“Se per europeismo si intende la difesa dell’identità culturale europea dalla minaccia della globalizzazione, credo che un certo tipo di destra non possa non dirsi europeista. Ma questo tipo di Europa è molto lontana dalla realtà dell’odierna Unione Europea. Basta guardare l’aspetto delle banconote in euro: non un monumento, non un personaggio storico, solo immagini astratte, aborti di videografica scelti per non urtare la sensibilità di questa o quella nazione. Giulio Cesare avrebbe fatto adontare i lettori di Asterix, Carlo Magno i sassoni, Napoleone non ne parliamo, Notre Dame avrebbe offeso i musulmani, per tacere dell’Arco di Tito…”.

L’offerta politica sovranista o conservatrice. Tante sigle o partiti. C’è il rischio di disorientarsi? 

“Per il momento no, perché l’elettorato di destra si indirizza verso un solo movimento in ogni nazione. I guai verranno dopo, per la difficoltà di un’alleanza fra i cosiddetti partiti sovranisti, che come tutti i movimenti nazionalisti avranno difficoltà a mettersi d’accordo quando saranno in ballo interessi concreti, come la ripartizione dei profughi o gli strappi ai parametri di Maastricht. Credo sia questo il punto debole delle posizioni di Salvini, che per altro in questi giorni è oggetto per altri motivi di un fuoco concentrico senza precedenti”.

C’è una dichiarazione politica di questi giorni, in questo uragano di propaganda che sta seppellendo gli elettori, che può essere la bussola per un elettore che vuole difendere radici e futuro?

“Non faccio politica ormai da dieci anni, per fortuna, ma se dovessi tornare a farla fonderei un partito conservatore europeo. Ma per me essere un conservatore europeo non significa voler conservare i privilegi di questa o quella classe o casta, ma semplicemente voler conservare l’Europa europea anche nel tempo della globalizzazione e del meticciato promosso a valore”.

Il clima politico. Il Salone di Torino ha creato un precedente di discriminazione ai danni delle idee non conformista. Che fare? 

“Più il tempo passa, più mi rendo conto che l’ultimo periodo di civiltà che abbiamo vissuto sono stati gli anni ’80. Grazie un po’ al socialismo tricolore, un po’ alla grande mostra sugli anni ’30 al Comune di Milano, e molto ovviamente all’opera di Renzo De Felice, l’Italia stava cominciando a storicizzare il fascismo. Proprio De Felice avanzò la proposta, che fu presa in seria considerazione da molti intellettuali, di abolire la disposizione finale e transitoria della Costituzione che vieta la ricostituzione del disciolto PNF.  Poi sono venuti gli anni ’90 con la legge Mancino, che colpisce l’istigazione all’odio razziale, ma non quella all’odio di classe, e il neoantifascismo militante e sicofante di questi anni.

Detto questo, penso che, se è sbagliato usare l’antifascismo come arma di lotta politica, è sbagliato anche usare il richiamo al fascismo per ottenere visibilità nell’ambito politico e culturale. A chi nutre nostalgie per il passato regime, suggerisco di adottare quello che fu il motto dei francesi dopo la perdita dell’Alsazia-Lorena in seguito alla disfatta di Sedan: pensarci sempre, non parlarne mai”.

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Le altre interviste su Europa e Europee a:

Mario Bortoluzzi (La compagnia dell’Anello)

Giorgio Ballario (Scrittore, giornalista de La Stampa)

Franco Cardini (Accademico, medievista e studioso di geopolitica)

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