La storia (di P.Buttafuoco). L’antifascista Tajani e lo schiaffo del missino Pazzaglia

Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue
Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue

È la sindrome de I Tartassati. Come Totò con Aldo Fabrizi. E fu così che Totò Tajani, presidente del Parlamento Europeo, dopo aver dichiarato la verità di cuore ai microfoni de La Zanzara – “Mussolini ha fatto tante cose buone” – preso al laccio della rispettabilità istituzionale (cosa potrà mai pensare Jean-Claude Juncker?) ha dovuto smentire se stesso: “Io sono un antifascista convinto!”.
Il fascismo era consenso e quando si tratta di raccattare voti fa d’uopo indossare l’orbace.
Lo stesso Giulio Andreotti – padre della patria democratica e antifascista – durante un comizio ad Affile in Ciociaria, non esitò a chiamare sul palco Rodolfo Graziani, il maresciallo d’Italia e viceré di Etiopia. Poteva sottrarsi il ciociaro Tajani, oltretutto – a differenza dello stesso Divo Giulio – nato bene, figlio di un’Italia tricolore e in armi, non uscirsene al naturale?
Totò Tajani, in cerca di voti, pur delfino del Cav. Berlusconi Silvio, interpellato da Giuseppe Cruciani, torna al Cavaliere originale. Ma cosa potrà mai pensare poi un Guy Verhofstadt? Ci sono ragioni del cuore elettorale che le ragioni istituzionali non possono comprendere e fu così che Totò Tajani, inseguito dagli strali, s’è dovuto proclamare “Anti”.
Ed è proprio come nel dialogo tra il cavalier Torquato Pezzella – il commerciante perseguitato dal fisco – e il Maresciallo Topponi, il funzionario della tributaria.
Quest’ultimo, impersonato da Fabrizi, nel bel mezzo dell’ispezione sbuffa con un moto di nostalgia “…ai tempi della Buonanima!” e il povero “tartassato” allora, già consigliato dal proprio ragioniere – un magnifico Louis de Funes che dice “cerchi di scoprire come la pensi in politica, simpatizzi…” – s’aggrappa alla Buonanima e squilla: “Maresciallo… lei mi ha toccato sul debole… lei la pensa come me!”.
Tra Mussolini, Berlusconi e Pezzella è tutto un manicomio di cavalieri nella povera testa di Totò Tajani che si butta sulla Buonanima: “Quelli sì che erano tempi, quelli della Buonanima” – lamenta de Curtis nel film di Steno – “e non tornano più… io la penso come lei… a noi!”.
La sindrome è però inesorabile.
Fabrizi, come fosse Valdis Dombrovskis, lo gela: “…all’epoca della buonanima di mia nonna!”.
Totò, come Tajani appena ieri, gira la frittata: “…allora lei è un anti? …come me!”.
E fu così che l’attento notista de Il Giornale, invece che tirare dritto – come gli avrebbe consigliato la dura scuola di un Berto Ricci, da cui discende Indro Montanelli – rientra subito nei ranghi repubblicani (ahi!) e antifassisti (doppio ahi!).
Tajani cresciuto in quel meraviglioso covo di magnifici ceffi che fu la redazione romana di piazza di Pietra con a capo Guido Paglia – futuro altissimo dirigente della Rai, persecutore di tutti i cognati di Gianfranco Fini – invece che marciare per non marcire va a fare la sua fuga a Pescara.
Totò Tajani, insomma, il già giovane attivista monarchico, al seguito di Alfredo Covelli transitato nel Msi di Giorgio Almirante dopo questa voce dal sen fuggita –raccolta dai microfoni di Radio24 – s’è dovuto cercare un Otto Settembre di pronto accomodo.
E però, sì, anti – lui – lo è sempre stato. E come in Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi anche lui – il povero Totò Tajani – ha avuto il suo schiaffeggiatore di via dell’Impero.
Gli innamorati dei film del principe de Curtis lo ricorderanno: Totò guarda Aldo Fabrizi, fa mostra di ricordarselo ma di non riconoscerlo, “Dove ci siamo visti?”.
“Non ci siamo mai visti”, risponde burbero Aldo Fabrizi e quando infine dice a Totò, suo consuocero nel film “Giù il cappello!”, lo schiaffeggiato ricorda tutto: durante una parata ai Fori Imperiali, un Fabrizi in orbace, al passaggio del Duce, piazza un ceffone al Cavalier Cocozza della premiata pasticceria omonima (un altro cavaliere per Tajani) per fargli togliere il cappello.
E così fu per il povero Totò Tajani quando, ai tempi del Giornale, ebbe ad avere da Alfredo Pazzaglia, il capogruppo del Msi, uno schiaffo a Montecitorio. Una parlamentare del Msi faceva l’amore con un collega del Pci e lui scriveva: “Tra fascisti e comunisti, relazioni di ferro”. Ed è sempre così: lo schiaffeggiatore si fa una verginità “anti” e allo schiaffeggiato non resta che il tartasso. (da Il Fatto quotidiano)

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