Il caso. Dopo il piombo delle Br, una nuova ferita per Indro Montanelli

La statua di Montanelli oltraggiata

Il 2 giugno 1977 un commando terrorista sparò a Montanelli, mirandolo alle gambe. La notizia di quella “gambizzazione” ebbe enorme risalto su tutti i giornali, eccetto il “Corriere”, che nel titolo parlò genericamente di violenza nei confronti dei giornalisti, facendo il suo nome solo nel sommario. Piero Ottone in seguito si sarebbe scusato, sostenendo che quel giorno non era in redazione, perché era in barca a vela. Peggio la toppa del buco, perché un direttore è sempre in servizio. 

In seguito, Montanelli avrebbe attribuito la sua salvezza a una sedimento della sua educazione fascista. “Un balilla muore in piedi”, gli era stato insegnato da ragazzo, e per questo non aveva obbedito all’istinto primario di buttarsi a terra. Se l’avesse fatto sarebbe stato intercettato negli organi vitali dalle pallottole indirizzate alle gambe per ferirlo in un’azione dimostrativa, ma non per ucciderlo.

L’Otto marzo scorso a Milano Montanelli è stato ferito una seconda volta. Chi lo ha colpito non ha mirato alle gambe, ma, metaforicamente, un po’ più in alto. Le femministe del collettivo “Non una di meno” che ne hanno imbrattato la statua nei giardini a lui dedicati a Milano hanno voluto colpire il maschio fallocentrico che più di ottanta anni fa, giovane ufficiale coloniale in Etiopia, comprò dal padre, com’era nelle consuetudini dell’epoca, una ragazzina dodicenne, divenuta sua moglie fino al suo congedo. Montanelli non aveva mai fatto mistero della cosa. Rivelò per la prima volta la relazione nel 1972 durante il programma televisivo di Gianni Bisiach “L’ora della verità”, adducendo a giustificazione i diversi costumi locali e la pubertà precoce delle donne africane, “che si sposavano a dodici anni”. Lo ripeté in più occasioni e lo ricordò senza fare nessuna autocritica nella risposta a una lettrice nella sua rubrica sul “Corriere”, “La Stanza di Montanelli”, il 12 febbraio del 2000, poco prima di morire. Ma allora il giornalista di Fucecchio per la sua opposizione a Berlusconi era divenuto un’icona della sinistra, e tutto gli era concesso. Oggi invece anche per lui è venuto il momento di venire insidiato nel suo piedistallo, vittima del risentimento femminista. 

La ruggine di Montanelli con le femministe è del resto di antica data. Dopo che un suo commento era stato frainteso dalle militanti più accese, per un certo periodo prese a corredare i suoi “Controcorrente” sul “Giornale” con una “spiegazione per le femministe”, che non considerava abbastanza intelligenti per afferrare la sua ironia.

Detto questo, è onesto precisare che l’azione di cui Montanelli si vantava non è certo meritevole di elogi, per quanto la si voglia inquadrare nel contesto di un’epoca. Il fenomeno del “madamismo”, ovvero dei funzionari o militari italiani che si compravano una moglie e, se sposati, si formavano una seconda famiglia in colonia fu avversato dal fascismo, che lo vietò con le leggi razziali e che anche per questo mise al bando una canzone come “Faccetta nera”, a torto considerata un inno ufficiale del regime. Si può guardare con comprensione alla senile indulgenza di Montanelli per il ricordo di un peccato di gioventù, ma non approvarne il comportamento. È onesto aggiungere però che se tanti militari italiani compravano amanti più o meno giovani, questo avveniva perché la pratica dello stupro era severamente bandita dalle leggi e dalla prassi delle nostre forze armate. Non altrettanto si può dire del comportamento delle truppe coloniali francesi e britanniche in Italia o delle truppe sovietiche in Germania nell’ultima guerra, per tacere delle forze d’occupazione senegalesi nei territori tedeschi occupati dai francesi al termine del primo conflitto mondiale.

Resta una considerazione: abbattere le statue, o, in questo caso, lordarle, sembra diventato lo sport preferito di nuove generazioni sempre più sprovviste di cultura storica e sempre più appiattite nell’eterno presente del web. Si abbattono le statue degli eroi della guerra di Secessione, dei colonizzatori del Nuovo Mondo, e dello stesso Colombo, che il Nuovo Mondo non avrebbe nemmeno voluto scoprirlo, perché voleva solo arrivare alle Indie, e che invece viene additato a responsabile di un “genocidio” in realtà dovuto soprattutto alla diffusione del virus del vaiolo fra popolazioni sprovviste di anticorpi. Ma anche i padri degli Stati Uniti, che spesso erano proprietari di schiavi, rischiano la damnatio memoriae ad opera di una diffusa cultura del risentimento. Si pretende di giudicare il passato con i parametri del presente, commettendo su scala planetaria lo stesso errore compiuto dal buon Manzoni, quando parlando della carestia a Milano rimproverava ai governanti spagnoli che calmieravano il prezzo del pane… di non avere letto Adam Smith. Da maestra di vita, la storia si degrada così a una zelante istitutrice, pronta a far la spia di comportamenti politicamente scorretti risalenti a decenni o secoli prima. Ma in questo modo il suo significato e la sua funzione si ribaltano: se prima si studiava il passato per interpretare meglio il presente, oggi alla luce di giudizi e pregiudizi del presente si pretende di giudicare il passato.

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Enrico Nistri

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