Bloody Sunday. Perché ricordare il sacrificio dei patrioti irlandesi

Bloody Sunday, la manifestazione del 1972
Bloody Sunday, la manifestazione del 1972

Il 30 gennaio 1972. Una data da non dimenticare, un giorno per onorare la memoria dei patrioti irlandesi.

Il tempo, con il suo scorrere inesorabile, molte volte riesce ad essere tiranno: questo infatti, ha una tale capacità di creare  distacco tra noi e gli avvenimenti da affievolirli, facendo perdere la loro esatta dimensione e la loro portata. E’ a questo punto che dovrebbe intervenire la storia, vera “magistra vitae”: il compito di questa infatti, è quello di mantenere vivi i fatti e di creare sempre dei legami con il presente per istruire le giovani generazioni, acuendone il senso critico.

Peccato però che troppo spesso, nella patina velata delle celebrazioni, anche gli spigoli vengono smussati e i lati più oscuri delle cose anestetizzati. Accade così che dalle ricorrenze sui Trattati di Roma del 1957 e in un momento in cui la presunta integrazione europea stia scricchiolando ogni giorno di più, tra le tesi adottate e sciorinate dagli europeisti più convinti vi sia quella che l’Europa (intesa non si sa ben in qual senso, forse come una fantomatica entità) abbia portato settant’anni di pace: ecco, detto che forse qualsiasi scorribanda  tra stati appartenenti alla Nato sotto l’ombrello Usa, e con la “minaccia” del comunismo, fosse piuttosto improbabile, con dichiarazioni ufficiali di tale portata vengono messi nel cestino anni di studi, ricerca e insegnamenti.

Ci sarebbe poi qualcun altro a non esser d’accordo: una piccola isola nord-occidentale, cresciuta stanca, irrorata dal sangue dei suoi morti. Quell’isola, ovviamente, è l’Irlanda. Ricca di storia, cultura, tradizioni e forte di una fiera impronta cattolica sin dall’evangelizzazione di San Patrizio, l’isola ha dovuto da sempre imparare a convivere con le invasioni straniere, simile in questo forse solo all’Italia e alla Spagna:  in particolare, è “l’incontro” con gli inglesi, che  ne avevano fatto il loro granaio e la loro riserva di terre, ad essere particolare oggetto di dibattito.

Sul rapporto tra britannici ed irlandesi molto si è scritto e le ultime vicende sulla Brexit rischiano di riaprire ferite mai del tutto suturate: ciò che però vi è di più incredibile, è che la suddetta retorica europeista dimentica la guerra alle porte di casa nostra, i cosiddetti “Troubles”.

I Troubles –o guerra civile nord-irlandese- sono stati una guerra a bassa intensità tenutasi tra il 1969 e il 1998 che ha fatto oltre tremila morti, comunemente ricordata come lo scontro tra cattolici e protestanti o tra unionisti e nazionalisti. Ecco, diciamo che sebbene generalizzare o riassumere tutto in poche battute sia impossibile oltreché fuorviante, è bene ricordare che l’Irlanda del Nord (formata da sei delle nove contee a maggioranza protestante della regione storica dell’Ulster ) era nata nel 1920 come avamposto inglese di controllo dell’Isola d’Irlanda. Quando poi, nel 1949, il resto dell’isola –l’Eire- era divenuta una repubblica indipendente, la morsa su quelle sei contee era divenuta ancora più ferrea: la minoranza cattolica infatti, veniva continuamente discriminata, nella paura che un loro maggior potere  potesse favorire un riavvicinamento unitario con le altre ventisei contee. Praticamente per le minoranze, quel regime era divenuto una sorta di apartheid europeo, per certi  versi meno visibile ma ancor più istituzionalizzato. Va da sé che di fronte ad ogni forma di ingiustizia, venga organizzata una qualche forma di resistenza: in questo caso, questa declina in due modi diversi: una non violenta che con il tempo rielabora i modelli di Martin Luther King e un’altra, che riprende la forte e viva tradizione nazional-cattolica permeandola di elementi socialistoidi, fautrice della lotta armata.

Ad ogni modo, qualsiasi forma di lotta non doveva essere facile,  tra le famigerate cariche della polizia nordirlandese, la Royal Ulster Constabulary e la sistematica assenza di libertà civile. La discriminazione sui posti di lavoro e l’aumento delle differenze sociali tra le due comunità, lasciò più poveri  i cattolici, attanagliati da una cronica disoccupazione. E’ in questo contesto che tra il 12 e il 14 agosto del 1969 avviene l’assalto al quartiere del Bogside, ghetto cattolico- indipendentista di Derry, con squadroni di unionisti che saccheggiano, incendiano e uccidono –saranno nove i morti. Di fronte alla mancanza di una qualsivoglia misura da parte dello stato, anzi di Londra dato che in seguito anche l’autogoverno verrà abolito (1973), i nazionalisti più idealisti si riorganizzano dando vita, dopo una scissione della vecchia Ira (paramilitari repubblicani), alla Provisional  –i Provos- (che passeranno alla storia per le loro lotte rivoluzionarie, per i legami con  Gheddafi e per le tante bombe ). Questi, più intransigenti ma anche meno avvezzi a certi canoni della tradizione, si ergono subito come baluardo dell’oppressa comunità cattolica, dalla quale ricevono se non una immediata adesione di massa, almeno una parte della fiducia.

Il 9 agosto del 1971 intanto, viene rintrodotto l’internamento senza processo: scattano subito i rastrellamenti e 342 persone, tutti nazionalisti ma delle quali solo 56 sono nell’IRA,  vengono prelevate dalle loro case e chiuse in carceri dove le torture e i maltrattamenti si susseguono senza sosta.  Nel giro di 48 ore in 116 sono rilasciati, mentre gli altri sono destinati ad istituti penitenziari dove vige un regime carcerario durissimo. Per le sei contee tutto il 1971 è caratterizzato da scontri, proteste di piazza e morti ammazzati, che siano delle due comunità o dei militari non fa differenza.  Va specificato che in questo stesso lasso di tempo, l’opposizione è egemonizzata da modalità non violente, con organizzazioni quali il NICRA o  la Pd (rispettivamente  Nortehrn Ireland Civil Rights Association e People’s democracy) che si battono per i diritti civili, non hanno velleità indipendentistiche e sono assolutamente non settarie.

Poi però, c’è il 30 gennaio 1972. C’è il Bloody Sunday.

Gerald Donaghy aveva solo diciassette anni il giorno in cui morì. Era il 30 gennaio del 1972, stava correndo verso il Glenfada Park di Derry, in Irlanda del Nord, per scappare dai colpi dell’esercito inglese. Non ci riuscì: una pallottola lo raggiunse allo stomaco uccidendolo all’istante. Assieme a lui rimasero per terra altre tredici persone, colpite a morte…

Da “U2. The name of love. Testi commentati”; Andrea Morandi

La marcia di Derry

Quella che sarebbe dovuta essere soltanto un’altra marcia da tenersi in quel di Derry  e dalla quale volutamente erano stati fatti allontanare gli estremisti, sarebbe invece passata alla storia in tal guisa, come  simbolo eterno ed indissolubile di quel trentennio fatto di sangue, tanto sangue ma anche di forti ideali che avrebbero portato uomini a battersi oltre  una dimensione, quella della vita umana, che sa essere così infima e trascurabile se paragonata ad un grande sogno, quello della giustizia, della redenzione terrena, dell’indipendenza  o della libertà.

Sono le ore 15 quando la manifestazione parte dal Bogside di Derry (o Londonderry per gli unionisti). La città, grigia come non mai, è bardata in assetto antiguerriglia e ovunque troneggiano truppe militari appostate.  E’ in un clima pesante come questo che alle 15.55 si sentono i primi spari…E’ infatti successo che i paracadutisti, fiore all’occhiello delle truppe britanniche, hanno aperto il fuoco sui manifestanti. L’ordine potrebbe essere giunto dal primo ministro Edward Heath o comunque dal suo gabinetto. Nessuno poteva credere alle notizie quel giorno.

Nota  a margine: Heath, europeista convinto, porterà il Regno Unito nella CEE dal 1 gennaio del 1973. Questo filo rosso insomma permane.

Di quella tragica domenica, rimangono istantanee indelebili. Su tutte, Edward Daly, Vescovo di Derry, che corre con un fazzoletto bianco, tenuto a mo’ di bandiera, completamente imbrattato di sangue. Il Vescovo infatti, stava semplicemente cercando assieme ad altri di portare in salvo il diciassettenne John Duddy, appena colpito al petto da una pallottola. Non ci riuscirà. Il ragazzo sarà infatti una delle quattrodici vittime. Da quel momento lo spirale di violenze non potrà che acuirsi. Arriveranno  gli scioperi della fame con le lotte di Bobby Sands e dei suoi, la Thatcher, le bombe, gli attentati e la repressione

Le successive inchieste, realizzate anche a distanza di anni e condizionate dalla gabbia di omertà e depistaggi che sa essere propria solo di certi ambienti, non riusciranno mai fino in fondo ad approfondire, sviluppare e chiarire le reali vicende di quei momenti.

Di quella domenica di sangue, entrata così prepotentemente nell’immaginario collettivo grazie al lavoro del cinema e della musica, oggi si può parlare con maggiore obiettività anche in ambienti dove nel passato questo non era possibile. Ovviamente, il lavoro da fare resta molto, a partire dalle scuole: sembra infatti incredibile come troppe volte ci si riempia la bocca con il voler formare questa presunta coscienza europea senza poi soffermarsi su fatti gravi; vere e proprie tragedie avvenute a poche ore di volo da casa nostra e che non trovano nei libri lo spazio che necessitano.

A noi insomma, il compito di ricordare questi quattordici eroi, martiri loro malgrado, caduti per una causa più grande di loro. A futura memoria.

@barbadilloit

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

Exit mobile version