Caso Battisti (di E.Nistri). L’assassino con il sorriso che piaceva alla gauche caviar

Cesare Battisti brinda con la birra dopo la sua liberazione (passata)

Quello che non potrò mai perdonare al terrorista che usurpa nome e cognome di uno dei martiri dell’irredentismo non sono gli assassini, l’evasione, la lunga e sprezzante fuga dalle sue responsabilità. È il suo sorriso, un sorriso che assomiglia molto ad un ghigno, come lo ha realisticamente definito Matteo Salvini. Si può uccidere in un momento di delirio ideologico, è umano cercare di sfuggire al carcere, le rapine in banca con l’alibi dell’ideologia le faceva anche Stalin, che fu omaggiato e adulato anche da tanti politici italiani, non solo comunisti. Tutto questo si può capire, non certo giustificare. Ma il sorriso no. Il sorriso di Battisti è il sorriso dell’impunito, è il sorriso di chi è convinto per la sua appartenenza alla corporazione degli intellettuali – naturalmente progressisti – di non dover mai pagare il conto, è il sorriso di chi è persuaso che le sentenze dei tribunali italiani saranno prima o poi rovesciate dal tribunale della storia. Una storia, ovviamente, scritta o riscritta “ad usum assassini” nei salotti bene e nelle redazioni dei giornali di sinistra. 

Dietro il sorriso (o il ghigno) di Battisti, oltre alla sprezzatura dell’uomo che si ritiene bello, c’è la follia ideologica degli anni ’70, ci sono gli appelli degli intellettuali contro il commissario Calabresi, le affettazioni di equidistanza fra lo Stato e le Brigate Rosse; c’è il cinico pragmatismo “fiorentino” di quel Machiavelli con l’erre moscia che fu il sopravvalutato Mitterrand, primo artefice della decadenza francese, c’è l’arroganza della corporazione degli “intellos” della Rive Gauche, convinti di aver diritto a erigersi ad arbitri del bene e del male per il fatto di prendere la cioccolata al Cafè Flore, c’è la connivenza col terrorismo dei populismi carioca. E ci sono anche le ambiguità e le titubanze dei politici di centrosinistra italiani, tanto pronti a reclamare la libertà per la Balzarani di turno – magari chiudendo un occhio sulla tragedia del Cermis – quanto timidi, quando erano al governo, nel rivendicare l’estradizione di un terrorista. Salvo dichiarare, in polemica con la presenza di Salvini (e Bonafede) all’arrivo di Battisti, che arresto ed estradizione sono una vittoria dello Stato e non di una parte politica. È vero: peccato che questa vittoria sia stata resa possibile dall’arrivo alla presidenza del Brasile di un uomo come Bolsonaro, presentato dalla stampa progressista (e non solo) come una via di mezzo fra Capitan Uncino e il Gargamella dei Puffi, e rivelatosi l’unico capo di Stato latinoamericano disposto a prenderci sul serio.

Ora non resta che augurare a Battisti una lunga vita e una lunga detenzione: “cent’anni di solitudine”, per citare il titolo di uno scrittore latino-americano che ha segnato la sua generazione. In realtà, viste le nostre leggi e lo stato della nostra giustizia, c’è da sperare che ne sconti almeno trenta, quanti previsti dall’accordo italo-brasiliano in materia di estradizione, che poi per un ultrasessantenne equivalgono quasi a un ergastolo. Nel frattempo, comunque, lasciateci brindare almeno oggi al suo arresto, col sorriso con cui ancora poche settimane fa Cesare Battisti brindava nell’ultimo scorcio della sua latitanza al ricordo delle sue vittime.

Enrico Nistri

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