PalloneAnnoZero/2. A tutto Cucci: “Sacchi e Gasperini per ripartire ma in Italia mancano i ribelli”

“La mancanza di cure sta salvando il paziente calcio”. La diagnosi di Italo Cucci – icona del giornalismo sportivo italiano, direttore del Guerin Sportivo, del Corriere dello Sport e del Quotidiano Nazionale, ha lavorato in Gazzetta, in Rai, è editorialista di Avvenire e del QN e autore di libri, biografie dei campioni e storie sui Mondiali – non lascia spazio a dubbi.

Ma come, è meglio non curarlo?

“È come in Germania, Belgio e Olanda: senza governo per mesi – e non parlo di calcio – le cose stanno andando bene. Certo, la cosa grottesca sono queste riunioni tra tre candidati alla presidenza FIGC che non propongono niente di ciò che realmente serve al calcio ora. Avevo citato il Gattopardo dopo l’ostracismo di Tavecchio: cambiare tutto perché non cambi nulla. La verità è che serve una presa di posizione pratica, una riforma radicale che parta dal gioco. Strutturale, insomma, come la Serie A a sedici-diciotto squadre. Ma questo non sta succedendo”.

Insomma, cacciare Tavecchio non era la panacea per tutti i mali?

“No, attenzione. L’unico che comanda ancora è Tavecchio, anzi, il mezzo-Tavecchio, che ha ancora il potere della Lega: è quello che conta. Ho rimproverato Tavecchio perché a dicembre del 2016, quando l’ho intervistato, sbandierava la formula “18-18-18”: tutti e tre i campionati a diciotto squadre. Un mese dopo ha detto che era pura utopia. Non ci possiamo fidare fino in fondo, capisce? Io il mio candidato l’ho lanciato, è Sacchi. Siamo stati sempre in contrasto ma ora può giocare un ruolo importante, dalle interviste che ha rilasciato si capisce che ha idee chiare e concrete per il futuro. Non andiamo d’accordo, ma ha vinto e ha una visione”.

Facciamo fantapolitica. Italo Cucci presidente FIGC: le sue tre proposte immediate.

“Bisogna partire dalla necessità sentita. Le priorità assolute sono un numero chiuso per gli stranieri nel nostro campionato e la Serie A a sedici-diciotto squadre. Quando c’erano le sedici squadre l’Italia era nel suo periodo d’oro. Poi viene tutto il resto: intervenire al più presto sui settori giovanili, negletti e dimenticati, iniziare a pensare ad uno ius soli calcistico per chi abbia i requisiti. Come in Germania: così sono tornati a vincere. Se c’è voglia di ricominciare, c’è da fare tantissimo. Il potere della Federazione va usato nel modo giusto. E poi va nominato un manager con uno stipendio”.

Sacchi, un manager e due riforme strutturali. Sulla panchina chi ci mettiamo?

“Non mi è mai piaciuto vedere sborsare dieci milioni per avere in panchina una star o qualcuno che viene a ripararsi dopo un’esperienza negativa. L’ideale per me sarebbe Gasperini, maestro e costruttore di giovani. Il metodo Atalanta, con i suoi ingranaggi, è il lavoro di cui Coverciano ha bisogno. Non abbiamo bisogno di allenatori dismessi, né di un ritorno di Conte ora che a Londra le cose vanno male. La Nazionale non è un catorcio”.

Manca solo il modulo…

“Non mi affido a nessun modulo. Quando a Bruno Pesaola fecero notare che in campo i suoi facevano altro rispetto alla sua idea di calcio, il Petisso rispose: “Io i giocatori li metto, poi loro cominciano a correre”. Higuain segna di meno ma è più felice perché partecipa al collettivo. Non è meglio così?”.

A proposito di Juve, è già testa a testa con il Napoli per lo scudetto?

“Manca ancora mezzo campionato. Quello che è certo è che la Juve ci sarà. Bisogna capire chi può creare problemi: il Napoli, da solo, ha sempre avuto chances. Oggi può essere aiutato – o castigato – dall’Inter e dalla Roma. Non consideriamoli fuori dai giochi”.

Sarrismo-allegrismo: i due paradigmi italiani del futuro?

“Il sarrismo è stata una ventata di novità, ma diventa vecchio quando viene conosciuto e capito dagli avversari e ha solo i dodici, tredici giocatori insostituibili. L’idea è bellissima, l’applicazione pure, ma tirare fino in fondo è molto difficile. Allegri, di contro, è il classico tecnico italiano, si adatta, ha il coraggio – anche se non sono d’accordo – di mandare Dybala in panchina. È anarchico, e pure situazionista…”

Anarchici e ribelli. Quanto mancano al calcio italiano oggi?

“È stato tutto asfaltato dal denaro, dalle bufale dei cinque, dieci milioni. È prassi vedere incapaci pagati trenta milioni e una sfilata di errori tecnici. Gli ultimi ribelli forse erano Balotelli e Cassano. Non c’è un ribelle che ci può salvare, ora come ora. C’è Belotti, mi piace tantissimo, per alcuni è il nuovo Riva: ma è un buonissimo ragazzo, troppo buono, e vedo che Mihajlovic lo ha ridotto ai minimi termini. Il ribelle deve avere le qualità in più, è tutt’uno di classe e anarchia”.

Dei geni di un tempo neanche l’ombra, no?

“Non vedo geni nel calcio italiano. Bernardeschi ha delle fiammate, ma poi viene relegato in panchina. Il Sassuolo ha Berardi, un genio che va educato. Il genio estremo, ma non azzurro, è Dybala. Ma anche lui sta pagando il conto del mercato. E dei famigliari. Vedi il caso Donnarumma…”

Il mercato neutralizza anche i miti con cui è cresciuto lo Stivale, come il Guerin Sportivo, di cui è stato direttore. Ci dovremmo riaffezionare a quel mondo?

“È cambiato tutto. Siamo in pieno mercato di gennaio e non vende nessuno. C’è un mercato inutile con nomi gonfiati. I tempi eroici del Guerino rivivrebbero se qualcuno volesse davvero la Grande Bellezza. Oggi è tutto fintamente bello, sta tramontando anche il mito del calcio inglese, che dopo gli allenatori sta importando la mentalità italiana dello zero a zero”.

Nella sua carriera è stato anche al fianco di Pupi Avati e Tognazzi. Un attore di cui avremmo bisogno?

“Al calcio italiano serve un eroe, penso a tipi come Tom Cruise. Abbiamo bisogno di personaggi dinamici e belli. Basta guardare le foto, le presenze dei nostri dirigenti: sembra il mercato delle vacche del mio paese, sono scamiciati, volgari. Non è moralismo, ma abbiamo perso la brillantezza, il vecchio gusto del pallone, che era anche estetico”.

Un politico.

“Lasciamo perdere. Vale lo stesso discorso dei dirigenti calcistici. Anche la politica prima era passione, mondi in contraddizione, come quando iniziai a viverla nel ’48. È forse l’unico settore in cui dovremmo chiedere aiuto agli stranieri”.

Un personaggio dei fumetti.

“Mandrake. Abbiamo bisogno di Mandrake”.

Una chiosa sulla Var.

“Sono stato e resto l’unico realmente contro la Var. Sono tutte chiacchiere tecnologiche ma in fondo decidono gli uomini, come semore. In più c’è l’assurda pretesa di certificare la verità. Balle. Ridateci i vecchi arbitri con i vecchi errori”.

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Francesco Petrocelli

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