Artefatti. Psycho Kinder, l’assalto al Cielo al tempo dell’indie rock preconfezionato

pkS’è badato, nella nostra epoca sempre più reality e sempre meno show, a quanto sia diventato noioso il panorama indie-rock italiano? Prendiamo ad esempio quei nomignoli tutti uguali, ruffiani, spesso con lezioso riferimento femminile: Marta sui tubi, Non Voglio che Clara, Valentina Dorme, Ofelia pure e via giocherellando in seriali quisquilie, col vassoio dei cliché rock in mano, pur di apparire in asfittico scenario. Quando sparire sarebbe senz’altro più utile, si vedano I cani, all’esordio coi volti nascosti da buste di carta, o i BJLP, irrintracciabili dietro pseudonimi; invece sono tutti lì con le chitarre in braccio, micioni innocui, liofilizzati in stampo con barba alla moda. Neo-sensibilisti della cronaca più minuta, fatti quotidiani ma in fondo siamo buoni, tatuaggi e Borsalino – una spruzzatina di rap? – pseudo-nichilisti della centrale elettrica, occhialuti replicanti anni ’60, caciara e cinismo di cartapesta dallo Stato Sociale, veterocomunismo bambinesco in disco pax. Subbuteo al posto del pogo. Quante cazzate, quanta flanella nell’allungare il brodo della presunta indipendenza, ricamino debolista della fasulla alterità. Senza per altro aver nulla da dire, se non perpetuare stancamente quell’appiccicosa retorica da periferia dell’impero, quell’iconografia cinematografica del finto disagio, eterno neorealismo replicato in comoda simulazione. Culo al caldo insomma, quando si sa bene che i migliori aperitivi si consumano in centro storico, coccolati da potere. Uno qualunque. Oppure fare il contrario, il che prevede coraggio.

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Si, la nuova musica indipendente tricolore fa vieppiù orrore, melassa noiosa e liscia ‘l pelo al glorioso patriarcato dei vari CCCP, Diaframma, Massimo Volume, to’ financo Litfiba. Gente quella, che in furgone ha dormito per davvero. Poi? Poi giunsero i comodini da cameretta, l’intimismo già nostalgico a vent’anni, lo squallore dei talent, l’offerta musicale veicolata in asettici contenitori atti a svuotare i già flebili contenuti. Fotocopie. Chi ha qualcosa da ridire? Chi ha l’ardire di alzare la voce? Ad esempio gli Psycho Kinder. Riascoltando le pubblicazioni a loro nome – Il tramonto dell’evidente e The Psycho Kinder tapes – emerge tutta l’urgenza di prendere posizione, di esprimere giudizi netti riguardanti l’Uomo all’epoca del nichilismo applicato, di osare finalmente un attacco al cielo, incosciente nell’azzardo della sfida al mondo moderno, pur tuttavia ben sorretto da saldi riferimenti intellettuali. Le parole affilate di Alessandro Camilletti, stentoree e al contempo beffarde, poggiano su un raffinato impianto citazionista – Massimo Volume, in cameo nella meravigliosa Inviolabili e sacri, Ezra Pound col Canto XLV, dalla vivida voce del Poeta contro l’usura, addirittura Emanuele Severino, tolto dalla cattedra e messo negli abissi in derive elettro minimali – tenuto insieme da fibrose linee ambient wave. Camilletti viaggia “pesante”, portandosi appresso un gelido afflato apostatico, oltre all’impavidità di squarciare i veli d’ipocrisia. Quante menzogne, per sembrare felici? Sonorità talvolta secche, talaltra amniotiche, confermano l’attitudine contemporanea alla miscelazione distopico/futurista, ma con ben evidenti propositi di sabotaggio.

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Combattere la modernità, coi mezzi della modernità: si palesano così, pur nell’originalità sostanziale del suono e della fumettistica veste grafica, sintetiche ascendenze con storiche sigle quali Runes Order, Kirlian Camera, Teatro Satanico. Si sente profumo d’epica, di Via del bosco, nel lezzo consumistico del contemporaneo parco giochi valoriale; profumo di ribellione individualista, in questa tragedia colorata in stelline e cuoricini, in questo gigantesco ipermercato, nel quale siamo rinchiusi per soppesare la veridicità dell’offerta speciale. Trovare l’uscita di sicurezza? Basta forse aprire gli occhi. “Il bosco è dappertutto: in zone disabitate e nelle città, dove il Ribelle vive nascosto oppure si maschera dietro il paravento di una professione. Il bosco è nel deserto, il bosco è nella macchia. Il bosco è in patria e in ogni luogo dove il Ribelle possa praticare la resistenza. Ma soprattutto il bosco è nelle retrovie del nemico stesso.” (da Il trattato del ribelle, Ernst Jünger, Adelphi, 1990). Si tratta quindi di un itinerario avanguardistico, l’arcaico cimento d’aver metabolizzato Nietzsche, passi messi in suono e parole all’attacco, nei recessi meno indagati dell’esistenza. Proprio il contemplatore solitario di Heidelberg sembra fornire l’ispirazione più netta, quel piglio da nichilismo attivo, quell’indole esplorativa che fa di Psycho Kinder una novità necessaria per esigenti ascoltatori. Tutt’altro, insomma, rispetto al semplice ed innocuo intrattenimento, al riduzionismo estetico ed etico al quale si è abituati in musica.

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Donato Novellini

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