Il caso. Nomina Bizzarri, la destra fantozziana che ha deciso di perdere in eterno

Vi ricordate la scena di Fantozzi che porta la radio per sentire la partita alle proiezioni del professor Guidobaldo Maria Riccardelli? L’usciere lo fruga, ma incredibilmente gli sfugge l’apparecchio. Alla fine della perquisizione è lo stesso Fantozzi che lo consegna al cerbero, che glielo strappa di mano con un’espressione di disprezzo. Ecco, mutatis mutandis questo è ciò che accade ogni qual volta un’amministrazione di “destra” si insedia. Prende e consegna i gangli del potere culturale agli sconfitti, che se li pigliano con uno “tze!” di commiserazione.

Lasciare i gangli del potere culturale al centrosinistra significa condannarsi in eterno alla sconfitta. Una sconfitta che – se le mutazioni antropologiche messe in atto negli ultimi sei anni arriveranno a maturazione – sarà definitiva e senza partita di ritorno. La vittoria di Macron in Francia è qualcosa che avrebbe dovuto far gelare il sangue nelle vene a ogni patriota: peggio che in Orwell, il popolo ha votato lo stivale che gli schiaccia la faccia. “E lo stivale sarà sempre là e la faccia sarà sempre sotto lo stivale”. In Italia, prima che i nefasti effetti del combinato disposto di ius soli, distruzione culturale delle giovani generazioni, introduzione dei reati di opinione e astensionismo spintaneo possano cementare il potere del Partito dell’Euro per i decenni a venire (o quantomeno fino a maturazione dell’invasione etnica dal sud del mondo, quando tutti questi discorsi saranno roba da museo archeologico) l’area populista, sovranista e identitaria non ha altra speranza che galvanizzare i milioni di voti persi come schede bianche, nulle e astenuti per un ultimo colpo di reni. Non ha altra speranza che attrarre gli orfani delle ideologie del XX secolo nel nome di un’idea di Stato organica, sociale, comunitaria, improntata alla giustizia e non al dio denaro. Ma per fare questo deve avere i suoi megafoni. Deve occupare posizioni sui media e nelle strade. Deve gridare le sue parole d’ordine, deve rifiutare quelle altrui. In questo XXI secolo siamo riusciti a farci imporre perfino il vocabolario da usare, da “migrante” a “sindaca” a “genere”, assecondando la neolingua orwelliana con cui l’establishment sta castrando definitivamente le menti pensanti. Ma i milioni di voti da drenare per tentare la riscossa contro il moloch europeista non li raccogli se non hai il controllo della cultura, se non ti imponi, se non ti ergi con sfrontatezza.

La battaglia culturale non cresce come la cicoria nei campi, che basta una pioggerellina d’aprile. Oggi chi fa cultura dalla parte del fronte sovranista, populista e identitario lo fa a spese sue, materialmente e moralmente parlando. Pagando di tasca sua tanto con il conquibus quanto le conseguenze di dover vivere in una società che emargina, se non proprio perseguita, chi non è schierato “dalla parte giusta”. Chi è in politica e ha la possibilità dovrebbe farsi parte attiva. Dovrebbe aprire spazi, a gomitate se necessario. Dovrebbe spalleggiare. Dovrebbe fare pressioni d’ogni genere affinché gli intellettuali della sua area abbiano visibilità, comparsate, ospitalità, fori dove esprimersi.

E invece? Invece espugna una fortezza rossa e la prima trovata geniale che gli viene in mente è di regalare una delle sue istituzioni culturali a un attore da sempre schierato dall’altra parte. Nulla di personale sul personaggio Bizzarri – i “Cavalli Marci” resteranno negli annali del teatro di cabaret italiano come una delle sue più geniali e divertenti esperienze – ma non si può sperare che da lui venga una politica culturale improntata a far cambiare la marea in senso filo-sovranista o conservatore. Possibile che la maggioranza politica a Genova non abbia trovato un altro cervello per far funzionare l’istituzione della Fondazione Palazzo Ducale in senso patriottico, sovranista e identitario? Una persona utile per imprimere una svolta culturale in direzione opposta all’egemonia mondialista e di sinistra?

Da anni diciamo che è necessario fare sistema. Spalleggiarsi a vicenda. Fare rete. Rioccupare gli spazi fin troppo lasciati a un nemico politico e ideologico che è riuscito a prendere le migliori postazioni culturali non con manipoli d’assaltatori armati fino ai denti, ma con i carrozzoni del gay pride e le isteriche de femminismo quarta ondata. Rendiamoci conto: ci siamo fatti prendere a schiaffi da gente che fino a trent’anni fa era argomento di barzellette e siparietti comici dei Monty Python.

Invece si continua ad andare col cappello in mano dall’altra parte. A voler fare i “bipartisan” in un mondo in cui ti trattano come Fantozzi con la sua radiolina.

Non si può sperare di entrare nel “salotto buono” facendo azioni che appaiono come piaggeria. Per certa gente chi è a destra deve mangiare per sempre in cucina con la servitù. Affidare anche tutte le istituzioni culturali a uomini “di sinistra” non renderà alcuna patente di nobiltà a chi non è da quella parte. Non sdoganerà niente e nessuno. Non farà finire la guerra civile strisciante. Non ammorbidirà le posizioni dell’altra parte invogliandola a trattarti su un piede di parità. La sinistra si prenderà ciò che ritiene essere suo di diritto (d’altronde per loro la cultura è solo di sinistra; a destra non c’è che barbarie, gli Hyksos, gli analfabeti funzionali etc.), metterà a frutto queste elargizioni per portare acqua al suo mulino e al momento giusto ripagherà la liberalità e la munificenza delle amministrazioni di destra con un bel calcio in culo.

La guerra per l’egemonia culturale si combatte attaccando e occupando, ovvero fare quello che ha fatto la sinistra da quando Gramsci ha ben spiegato il concetto. Non solo vanno spalleggiati i propri cervelli, ma va anche affamata la bestia dall’altra parte: via i patrocini ai “pride”, alle Ong, all’associazionismo della “società civile” (o sedicente tale), ai centri sociali, agli spettacoli che campano di sussidi pubblici, ai propagandisti pro-immigrazione, pro-gender, pro-mondialismo, niente spazi ai movimenti antinazionali e anti italiani. Loro lo fanno continuamente, noi perseveriamo nel voler ostentare un fair play insulso nei confronti di chi programma attivamente l’annientamento culturale e perfino politico della “nostra” area con leggi speciali e l’introduzione dei reati di opinione.

Il tempo stringe (abbiamo forse lo spazio di qualche anno prima di far la fine della Francia) e la scelta è chiarissima davanti ai nostri occhi: accontentarsi di quel ghetto che ci hanno costruito attorno da decenni e che abbiamo attivamente aiutato a costruire con incosciente collaborazionismo oppure combattere. Si può continuare in quel ghetto dove si vivacchia, tutto sommato, dove i suoi confini sono decisi da chi sta fuori e le porte si aprono e chiudono quando chi sta fuori lo vuole. Ma il giorno in cui quei ghetti verranno messi fuorilegge e verranno a stanarci coi lanciafiamme non è più fantascienza. È dietro l’angolo.

@barbadilloit

Emanuele Mastrangelo

Emanuele Mastrangelo su Barbadillo.it

Exit mobile version