Sovranisti, che fare?/9. Tenere insieme cuore nazional-popolare e visione imperiale europea

Castel del Monte
Castel del Monte, simbolo imperiale

Il risultato delle elezioni presidenziali francesi sta suscitando negli ambienti politico-culturali che si definiscono “sovranisti” un ampio dibattito,  scaturito essenzialmente dal fatto che la sconfitta della Le Pen al secondo turno ha provocato delusione e sconcerto tra quegli esponenti politici ed opinionisti che invece la consideravano vincente ritenendo che i risultati della Brexit, di Trump e del referendum renziano fossero il segnale di “un’onda” di rivolta contro i vari establishment mondiali. In parte questo è vero, però va tenuto sempre presente che i risultati elettorali hanno sempre motivazioni particolari derivanti dalle situazioni locali, economiche sociali e culturali, e non possono essere riprodotti automaticamente dappertutto.

Da questo punto di vista hanno – a mio parere – errato in particolare Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il primo più della seconda, che davano per vincente sicura Marine Le Pen contro gli europeisti, così come era stato fatto per Haider in Austria e Wilders in Olanda. Queste mancate vittorie hanno da un lato provocato in molti elettori delusione e rassegnazione ad eterne sconfitte, e dall’altro hanno dato spazio alla propaganda europeista sui media con titoli come “vittoria dell’Unione Europea” e “respinto il populismo”. A mio parere si è trattato di un errore psicologico perché bisognava invece dire che “il populismo, il sovranismo stanno avanzando in tutt’Europa combattendo le oligarchie ed il mondialismo”. Avanzare metodicamente e dappertutto, non vincere alla prima prova elettorale!

Si è detto che Marine Le Pen ha sbagliato in tre punti principali: nel non avere sufficientemente “dediabolizzato” il Front National, nel dibattito televisivo con Macron, nella proposta di uscire dall’Euro. Io non penso questo: per quanto riguarda la “dediabolizzazione”, che poi vuol dire scrollarsi di dorso la nomea di “fascista”, sappiamo bene che i media ed una certa pervadente persuasione occulta sono sempre pronti a qualificare di “fascista” chiunque si opponga ai progetti che erano prima comunisti, oggi mondialisti. Quindi è inutile sforzarsi di scrollarsi di dosso quest’etichetta: bisogna ignorare gli attacchi e proseguire nell’attività e nella propaganda.

Sul dibattito televisivo non abbiamo elementi precisi di giudizio, comunque penso che lei partiva in svantaggio “tecnico” contro un ex-ministro economista sulle sue tematiche: l’unica strada era quella di denunciare, anche aspramente, la sua visione bancocentrica, eurodirigista, antinazionale per far smuovere l’animo degli ascoltatori. Qualche risultato l’ha avuto, perché ha guadagnato al secondo turno tre milioni di voti, con un aumento del 39% in termini assoluti, che non sono pochi.

La questione dell’euro è più fondata, e dovrebbe indurre a riflettere anche in Italia. Tranne gli addetti ai lavori e gli esperti, la massa degli elettori ha scarsa cognizione e scarso interesse alle direttive europee ed alle politiche di bilancio: non li riguardano immediatamente e direttamente e quindi la propaganda contro il centralismo europeista viene recepita e condivisa.  Ma il denaro, l’euro, ce l’hanno in tasca, lo incassano e spendono tutti i mesi e tutti i giorni, vivono di stipendio o di pensione: dire che bisogna “abbandonare l’euro”, non precisando poi come sarà la nuova moneta fa temere l’impossibilità – almeno per un certo periodo – di disporre del denaro essenziale per vivere. E questo, senza contare il rischio inflattivo, di cui il popolo ha avuto già una negativa esperienza al momento dell’introduzione dell’euro. E’ quindi una materia da trattare con attenzione, parlando piuttosto sulla rinegoziazione dei Trattati e la liberalizzazioni del credito.

Ma, precisato queste cose, quale dovrebbe essere la politica da seguire dalle forze politiche italiane cosiddette sovraniste?

A mio parere, due dovrebbero essere gli aspetti principali dell’azione politica e propagandistica.

Il primo si riferisce al concetto stesso di Europa. Non si deve commettere l’errore di combattere la visione di un’Europa unita in quanto tale, perché la concezione europea è millenaria: risale alla Grecia che le dette il nome, fu costruita politicamente ed amministrativamente dall’Impero Romano, fu unificata dal cristianesimo, e fu difesa dinanzi all’espansionismo islamico. Oggi, dinanzi alle grandi potenze mondiali (Usa, Cina, Russia, India principalmente) si può competere solo con l’unione dei Paesi europei. Ma come? Innanzitutto, estendendosi alla Russia che è ancora Europa per etnia, storia, cultura e tradizione per divenire quello che Jean Thiriart, già negli anni sessanta, chiamava “Un Impero di 400 milioni di uomini”, che adesso sono divenuti – con la Russia – oltre 500. Ma “Impero” vuol dire volontà di autonomia e di potenza: quindi, allentamento dell’abbraccio soffocante statunitense, difesa degli interessi dei propri popoli e delle proprie economie dinanzi alla globalizzazione, assunzione di un ruolo attivo e possibilmente egemone in politica estera soprattutto nei propri “cortili di casa” come ad esempio il Vicino Oriente e l’Africa (dove la Cina sta mettendo piede), instaurazione di durature relazioni con il Sudamerica connesso con la lingua e la religione. Soprattutto, avere coscienza della propria storia e della propria tradizione educando le nuove generazioni (non all’universalismo indifferenziato dell’”Erasmus”!) ed impedendo la diffusione di culture extraeuropee. Insomma, il concetto di “sovranità” va applicato all’Europa che un tempo definivamo “Nazione”.

L’altro aspetto è quello popolare e sociale. Se c’è una forte crisi sociale derivante dalla globalizzazione, se persiste una inarrestabile disoccupazione giovanile, se la prospettiva di lavoro è il precariato a vita, se le grandi città soffrono di un crescente disagio ambientale e morale, se l’apparato industriale nazionale o cessa di operare o si trasferisce all’estero o viene acquisito da imprese straniere anche extraeuropee, se anche l’agricoltura è soggetta alle importazioni incontrollate ed al dominio delle multinazionali, se l’immigrazione incontrollata sconvolge identità e territori, ed altro ancora, ebbene i movimenti che si definiscono “sovranisti” devono interessarsi in modo molto documentato e con proposte concrete, oltre che con interventi per le situazioni emergenti, su queste tematiche.

Quindi, per concludere. Che in Europa soffi un vento di protesta contro le istituzioni tecnocratiche e centraliste dell’Unione Europea, contro la globalizzazione, contro l’ìmmigrazione incontrollata, contro la povertà crescente è un fatto ed i risultati elettorali, al di là delle sconfitte di vertice, lo dimostrano. Ma questo “vento” va indirizzato sia in alto, prospettando allo stesso tempo idealità più forti di quelle evanescenti prospettate dai Macron di turno, sia in basso, raccogliendo ed articolando i disagi e le proteste a volte inespresse del popolo.

Tutto ciò, senza dimenticare di avere una base culturale che oggi è ricca di testi e di opinionisti che forniscono idee e progetti alternativi allo status quo. Le sconfitte devono insegnare ad andare avanti più agguerriti che mai!

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Nazzareno Mollicone

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