Teatro. “Sette contro Tebe” di Marco Baliani ovvero la tragedia di Antigone e Ares

Un Ares quanto mai divino campeggia sulla scena e trascina Eteocle, Antigone e Tebe in una danza macabra di parole e crudele di paure. Questa è la suggestione di “Sette contro Tebe” di Eschilo per la regia di Marco Baliani che ieri sera ha aperto il 53⁰ ciclo di Spettacoli classici al Teatro Greco di Siracusa. 20170506_200111

Nel teatro antico più importante arrivato dalla notte dei tempi fino a noi Marco Baliani si misura con una tragedia difficile, per la quale trasforma la grande cavea in una grande agorà di guerra. Marco Baliani mostra Ares, la guerra, come imminenza del terrore e incombenza d’ingiustizia, comunque. La tragedia di Eschilo riprende della Tebaide la lotta tra Eteocle e Polinice, i figli incestuosi di Edipo. La contesa tra sangue e di sangue è esempio di opposizione di due modelli etici: Onore contro Biasimo. Polinice bandito da Tebe, torna alle porte della sua città con un esercito di Argivi e la vuole espugnare. Troverà la morte per mano del fratello. Presentata per la prima volta nel 476 a.C. in occasione delle Grandi Dionisie, “ Sette contro Tebe”, opera superstite di una trilogia che comprendeva “Laio” e “Edipo”, è la tragedia del Fato, forza inoppugnabile verso cui procede Eteocle, con la furia di chi è destinato a dar conto della maledizione del padre. La tragedia di Eschilo, essenziale nel numero dei personaggi e gioiello di arcaicità stilistica, ruota intorno a due elementi, uno etico l’altro simbolico. Il primo è il contrasto tra il coro, tutto composto di donne, e il re Eteocle: questi, sprezzante della paura delle donne, invita il coro a non strepitare, a non dar consigli, a non esser d’ubbia alla città e dunque a non inimicarsi Ares. La paura della guerra incarnata dal femminile ha figura di presagio di altre violenze. Presagio. O enigma. I sette enigmi rappresentati dall’elemento simbolico: gli scudi. Nello scudo tondo di Polinice è impressa Dike, la Giustizia, che guida l’uomo a riprendersi la casa dell’avo. Ma Eteocle, di Edipo degno figlio, scioglie una per una le metafore di sei scudi; al settimo (lo scudo del fratello Polinice) grida allo spergiuro dell’icona e procede verso il sacrificio di sangue. Eteocle, indovina come Edipo. Quindi salva la patria ma non regnerà, ucciso anche lui dal fratello. Otterrà però onore di pianti e sepoltura come si legge nella parte spuria della tragedia quando irrompe in scena la sorella Antigone a rivendicare sepoltura per entrambi i figli di Edipo. Cosa c’è della tragedia di Eschilo nella messinscena di Marco Baliani? C’è la convinzione in Marco Baliani che “ ogni tradimento del testo è una tradizione”. E una nuova tradizione Baliani inaugura con la sua regia, la tragedia dei “Sette contro Tebe” diventa la tragedia di Antigone. Antigone (Anna Della Rosa) irrompe immediatamente sulla scena e assorbe il coro. La sorella di Eteocle si fa simbolo del femminino con il suo corredo di carnale istinto di pace suggerendo il dolore corale come somma di individuali patimenti.

Come quello di Eteocle che subisce, nella garbata interpretazione di Marco Foschi, un movimento sotterraneo di sensibilità: Baliani lo ha voluto uomo contrastato in sé tra la rabbia della difesa della città e il sentimento dell’ineluttabilità del destino, fragile regale vittima di tracotanza e dissimulazione. In fondo, come grida Antigone davanti ai cadaveri dei due fratelli: “E’ sempre mutevole ciò che un governo ritiene giusto”. Nella lettura di Baliani, che si avvale della traduzione essenziale e fredda di Giorgio Ieranò, i simboli appaiono talvolta troppo scoperti: se bella è la resa scenografica con l’albero totemico al centro a suggerire la presenza del divino come elemento naturale e perciò fatale, troppo didascalico e forse gratuito il traliccio con l’altoparlante che annuncia la sorte dei due cadaveri e i decreti della polis.

“Sette contro Tebe” di Marco Baliani è una tragedia di movimento e di sensi. Protagonista è il suono. Le musiche firmate da Mirto Baliani riempiono  la scena di suoni che sono ora rombi di aerei di guerra, ora echi di Zeus tronitruante, ora intreccio tutto fonico di metalli di spade e raffiche di mitra. Lo spazio scenico colmo dello strepito universale e sinistro della guerra di ieri e di oggi (c’è il ricordo di Aleppo, della Libia, del futuro di Mosul- in parte anche nei costumi di Carlo Sala-) è spazio in movimento. Spinte centrifughe evocano il lontano delle porte in cui avviene la strage, che i tebani vedono evocata nella sorte delle maschere sceniche e mentali degli scudi: in un andirivieni di alto e basso le coreografie (curate da Alessandra Fazzino) sono movimenti talvolta a scatti talvolta disarmonici che irrigidiscono i personaggi e tentano di piegarsi al movimento sonoro. E i sensi vengono ancora coinvolti ad annullare la distanza tra pubblico e cavea quando al termine il fumo dei bombardamenti invade acre il cielo sopra il teatro.

Uno spettacolo invaso dall’extratesto fino al monito del dovere della memoria con l’aedo (Gianni Salvo rigido e didascalico come appaiono il messaggero Aldo Ottobrino e Anna Della Rosa) salda il cerchio di questa tragedia di Baliani.

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Daniela Sessa

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