La lettera. Salvare l’Alitalia con una nuova politica industriale e l’opzione ‘partecipazione’

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Caro Barbadillo,

Alitalia torna al cento di uno stanco dibattito politico ove tutti si dedicano al rimbalzo delle responsabilità. E tutti i “mostri” rientrano in campo. Romano Prodi racconta quali sarebbero stati i meravigliosi sviluppi se il suo governo non fosse crollato e avesse potuto terminare il suo progetto con il Governo Cinese per un investimento senza pari su Alitalia. Berlusconi racconta l’epica, rectius farsa, dei capitani coraggiosi messi in campo per il salvataggio. Il Governo Gentiloni assicura che non ci sarà l’ennesimo salvataggio di Stato con i soldi dei contribuenti. Renzi scalda i motori lasciando intendere che, riprese le redini del PD e quindi della Nazione (strana e eccessivamente ottimistica sovrapposizione fra parrocchia politica e Nazione), risolverà la situazione, ovviamente senza spiegare come. E così, mentre all’orizzonte si profila anche l’ennesima soluzioni pasticciata all’italiana di un intervento di Ferrovie dello Stato, Alitalia si avvicina alla liquidazione, senza una sola vera idea alternativa.

Su Alitalia si abbatte la stragnazione di idee e modelli industriali della politica italiana e del capitalismo italiano. O abbandonare Alitalia al suo destino o intervenire con soldi pubblici per prolungarne l’agonia: tertium non datur!

Non una sola analisi rispetto ad un referendum aziendale, svoltosi sotto la minaccia del Governo di avviare la liquidazione Alitalia in caso di esito negativo e, ciononostante, sonoramente bocciato dai lavoratori.

I “salvatori” dell’Alitalia

E’ certo che molti lavoratori, bocciando il piano industriale, abbiano difeso più i loro ricchi e anacronistici privilegi piuttosto che il diritto al lavoro, abbiano mostrato i muscoli nella segreta ed intima convinzione, anche parzialmente fondata, che il Governo interverrà. E’, però, altrettanto vero che il piano industriale era debole, volto esclusivamente a “risparmio” sul personale, senza nessuna prospettiva seria di aggressione del mercato internazionale. Chi immaginava un esito diverso riponeva fiducia solo sulle paure, sulla debolezze, sulle necessità dei lavoratori.

Possibile immaginare un piano industriale fondato su paure e debolezze dei lavoratori che, in ogni caso, non sono elementi accidentali e sostituibili di una impresa? Possibile che il Governo scarichi ogni ed esclusiva responsabilità sui dipendenti che non hanno accettato le condizioni dettate dalla emergenza e della paura e che non hanno rinunciato a diritti, talvolta privilegi, ma a cui, oggettivamente, non è stata indicata alcuna strategia industriale? E’ sconcertante ed indifendibile il fronte del no, ma i promotori del sì chiedevano sacrifici senza prospettive.

L’idea di votare per un piano senza prospettive che avrebbe eroso lo stipendio dei lavoratori a favore di un management che avrebbe guadagnato per somministrare una “dolce morte” ad Alitalia non poteva, in effetti, appassionare.

La verità è che i lavoratori possono votare un piano aziendale che preveda sacrifici se vengono offerte prospettive e garanzie, se ai lavoratori stessi viene “rubata l’anima” e vengono coinvolti nella partecipazione alla gestione e agli utili dell’azienda. Timidamente la Cisl ha indicato la via appunto della partecipazione, quella stessa partecipazione che ha portato grandi Paesi, come la Germania, furi dalla crisi prima di noi.

La globalizzazione dei mercati comporta una maggiore competitività e la risposta non può essere la continua ed inarrestabile erosione dei diritti dei lavoratori….anche perchè competere con al Cina sul costo del lavoro appare, oltre che immorale, vagamente illusorio. Il coinvolgimento nelle scelte dell’impresa e nella divisione degli utili è strumento che consente di riscoprire la “militanza” del lavoratore e di uscire dalla gabbia che vede la “risorsa umana” come un costo aziendale e non, appunto, una risorsa.

Anni fa Electrolux Italia stava per chiudere, ma al posto di manager di Stato, nominati dalla politica, straordinariamente abili a ottenere “prestiti ponti” dalla mammella statale e a erodere i diritti dei lavoratori in misura direttamente proporzionale alle impennate dei loro immeritati emolumenti, è stato scelto un management, guidato da Maurizio Castro, che ha puntato sulla partecipazione. La sfida era appunto “rubare l’anima ai lavoratori”, portarli al governo dell’impresa, dove lo scambio era la responsabilità vera del governo dell’azienda da una parte e la liberazione di straordinarie energie etiche, intellettuali e militanti dei lavoratori. In quegli anni Electolux Zanussi raggiunse performance di mercato straordinarie ed inaspettate.

La crisi economica non si può vincere né dismettendo le catene industriali, né confidando in interventi statali fuori tempo massimo, ma disegnando nuove dinamiche industriali che passino dalla fase conflittuale del secolo scorso a quella collaborativa.

Il modello esasperatamente conflittuale delle dinamiche aziendali è ormai fallito e non regge le sfide del mercato. Alitalia nel giugno del ’98 disegnò un timido modello partecipativo riservando il 20% del capitale azionario ai dipendenti. E’ forse ora di coinvolgere più intensamente i dipendenti nella gestione dell’azienda e nella partecipazione agli utili della stessa, disegnando un modello di comunità-impresa che sappia coniugare flessibilità con partecipazione, qualità totale con partecipazione agli utili, piani di solidarietà aziendali che prevedano sacrifici in vista di obiettivi condivisi. Certo un piano del genere non si attua con quei manager, cooptati dalla partitocrazia, adusi ad agganciare il loro emolumento alla velocità con cui licenziano, dismettono investimenti e ottengono “prestiti ponte”.

Servono altri manager, manager che intravedano il futuro, che disegnino nuove relazioni industriali improntate su un’autentica partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione dell’azienda. E servono politici che, al posto del reddito di cittadinanza come elemosina nella terra della post-industrializzazione ormai arresasi al declino, si interroghino sui modelli industriali del terzo millennio per affrontare la vera guerra all’orizzonte, a prescindere dalle scaramucce fra improbabili leader nord coreani e leader americani dalle improbabili capigliature: quella dell’economia e dell’occupazione nazionale. Servono  meno boiardi di Stato e più manager veri, meno queruli politici da 80 euro regalati e più statisti.

*esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia

@barbadilloit

Andrea Del Mastro*

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