Mendieta è nome che si lega alla Lazio di Sergio Cragnotti. Quando Pavel Nedved lascia Formello e vola a Torino, occorre trovare un sostituto che sia alla sua altezza. Non è facile. Dalla Spagna arriva la suggestione: perché non portare a Roma il perno del Valencia dei miracoli di Hector Cuper? Lo cerca mezz’Europa, nell’estate del 2001. Lo vogliono tutti, pure Inter e Milan. La Juve no, già è a posto. L’ex patron della Cirio sbanca la correnza: ecco ottantanove miliardi di lire alla società, otto all’anno a lui. Incredibile.
La stagione 2001-02 è cruciale per il calcio italiano. In Italia giocano Crespo, Shevchenko, Vieri, Trezeguet ma il capocannoniere sarà il Bisonte Hubner, a quota 24 con il Piacenza. Sarà un’annata carica di presagi. L’ultima, forse, delle allegre spese. La prima a inaugurare una triste serie di fallimenti a catena, si apre la crisi ufficiale del calcio e il modello del presidente mecenate sprofonderà da lì a poco. L’annata sgangherata della Fiorentina che finisce prima in B, nonostante un giovane Adriano, e poi in C2 per bancarotta. I segni sono per chi sa leggerli ed evidentemente, allora, nessuno riuscì a cogliere quanto sarebbe accaduto.
Non è un bel campionato nemmeno per lui, per Mendieta. Nella macchina perfetta di Cuper, Mendieta sapeva perfettamente cosa e quando farlo. Il gol al Barcellona sperso nei meandri di youtube, quando scarica nel sette una botta di prima col collo destro, servito direttamente da calcio d’angolo è la dimostrazione plastica della forza degli automatismi e di quella squadra. Il Valencia era imbattibile perché il collettivo riusciva a sublimare le caratteristiche dei singoli. Nascondendone persino i difetti.
Ma a Formello non trova nulla di tutto ciò che ha lasciato in Spagna. Nel caos dell’ultimo Cragnotti, alla Lazio, Gaizka non riesce a trovare equilibrio. Deve mostrare di essere un grandissimo e cicca clamorosamente l’occasione della vita. Spaesato, fuori dal gioco. Fuori ruolo, sempre. Sopravvalutato, probabilmente. Fatale che finisca in panchina. Dove assisterà (tra le altre cose) alla clamorosa disfatta (1-5) nel derby contro la Roma dello scatenatissimo Vincenzo Montella, quattro gol e dichiarazione d’amore in diretta di Carlo Zampa.
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Gioca venti partite e le finisce, di solito, prima del novantesimo. Zoff prima e Zaccheroni poi non riescono a scollarlo dalla panchina. A fine campionato se ne va a Barcellona, in prestito. Poi vola a Middlesborough dove trova una più consona dimensione e si fermerà a fine carriera.
Oggi fa il dj, come l’ex portiere russo Ruslan Nigmatullin, che quello stesso anno tra rulli di tamburi e squilli di trombe firmava per l’Hellas Verona. Senza lasciare (apprezzabili) tracce.