Il caso. Irlanda del Nord, tra elezioni, Sinn Fein e il fenomeno Saoradh

Derry (myworldmybook uff)
Derry (myworldmybook uff)

In Irlanda del Nord è tempo di elezioni anticipate, dopo la crisi di governo causata dalle dimissioni del vice-premier e capo dello Sinn Fein Martin Mc Guinness e l’evidente impossibilità, per il Dup unionista, di reggere il paese senza la collaborazione con il partito cattolico di assoluta maggioranza. Sinn Fein che, stando alle prime proiezioni (ma i risultati definitivi non si avranno prima di domani), è leggermente favorito sul Dup (ancora peraltro stordito da scandali interni al partito). La roccaforte cattolica dublinese e il crescente malcontento potrebbe portare lo storico partito nazionalista, per la prima volta, a prevalere sui democratici protestanti. Ma il quadro è davvero così semplice?

La scossa Brexit può essere effetto domino

L’Irlanda (intera) non è rimasta immune dalla sbornia britannica. E in molti ipotizzano che sia il momento giusto per lo Sinn Fein – e per la sua nuova leader O’Neill – di affondare il colpo e rilanciare il referendum per l’unificazione della penisola (e conseguente secessione da Albione). Ma il Patto del Venerdì Santo parla chiaro: servirà comunque un governo di cooperazione tra le due fazioni. Un effetto domino di possente indipendentismo, dunque, non è così scontato. Numerosissime sono anche le incertezze sul rapporto con l’UE, garante di pace e unità spesso apparenti e in crisi anche in Irlanda (nel Nord sembra ancora prevalere il remain, ma abbiamo imparato a non fidarci troppo dei sondaggi). Non è da escludere poi che, di fronte a difficoltà di formazione del governo, intervenga con una forte presa di posizione il Regno Unito. E lì, a nostro avviso, inizierebbe la rottura definitiva (di un Regno più che traballante) in un clima che già oggi è tutt’altro che calmo e di animi tutt’altro che sopiti.

Saoradh (Irish News off)

Saoradh, socialisti-nazionalisti in cerca di riscatto

Già, la guerriglia è finita nel 1998 solo formalmente. La (not) free Derry, lo spirito di Bobby Sands, la sua fiamma eterna, il coraggio e la dignità di un popolo non potranno mai estinguersi. Nuovi ordigni (poco tempo fa a Derry è stata quasi per caso disinnescata una bomba contro la polizia) e nuove manifestazioni, nuove rivendicazioni del New Ira, sono lo specchio dell’attuale situazione. E dalle ceneri – e dalle carceri – l’urlo comunitario e ribelle si organizza in nuovi movimenti, come il neonato Saoradh (“Liberazione”), non-partito rivoluzionario ‘benedetto’ dai detenuti repubblicani che appoggiano la New Ira. Una nuova ondata, trasversale e identitaria, incentrata sulla protezione della comunità e dei lavoratori. Socialismo e nazionalismo si abbracciano in questa nuova forma liquida guidata da Davy Jordan, storico dissidente paramilitare repubblicano, a lungo nelle carceri irlandesi.

Critiche allo Sinn Fein, sguardo agli unionisti e ‘resistenza’

Le novità? Aspre critiche allo Sinn Fein e all’Accordo del 1998. “Gli Accordi non hanno mai puntato al progresso, ma solo alla conservazione dello status quo. È aumentata la povertà. A Derry c’è la seconda più alta percentuale di suicidi e il primato in termini di disoccupazione”, spiega al Manifesto il National Organizer Joe Barr, che aggiunge che il movimento punta sui giovani e sui lavoratori, “anche quelli unionisti”, in nome di una vera Repubblica Socialista. E, soprattutto, il tema dei prigionieri politici: “non li abbiamo dimenticati – aggiunge –, siamo vicini alle loro famiglie, li aiutiamo quotidianamente. Subiscono ogni giorno perquisizioni corporali, violenze di ogni tipo”. E loro, fuori, non se la passano molto meglio: “Vengo fermato continuamente, e la repressione sta aumentando”. Corrobora la linea ideologica il leader Jordan: “Trenta anni fa i detenuti venivano chiamati criminali comuni, ma erano solo persone che volevano difendere le proprie comunità dalle aggressioni. Quando le comunità si sono armate, negli anni sessanta e settanta, è stato in reazione alla violenza di stato e delle forze della corona. È stata legittima difesa. Noi siamo dissidenti perché dissentiamo non nei confronti del processo di pace, ma del processo di pacificazione, che fa dimenticare le sofferenze, la povertà che le nostre comunità sperimentano sulla propria pelle ogni giorno”. Il problema, dunque, è più attuale che mai, le discriminazioni continuano ad essere all’ordine del giorno. “Non è cambiato nulla, i nostri membri vengono perquisiti di continuo. La resistenza organizzata a livello locale deve andare di pari passo con l’aiuto alle nostre comunità, opponendoci alle politiche settarie e soprattutto alle istituzioni neocoloniali”. Qualcuno non si arrende, allora. E agisce: qualche giorno fa il movimento ha bloccato una marcia dell’esercito britannico a Derry, esattamente nelle strade del Bloody Sunday. Mettiamoci comodi e aspettiamo le elezioni. Ma stiamo certi: il popolo sta parlando.

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Francesco Petrocelli

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