Il ricordo. Pasquale Squitieri regista controcorrente e uomo libero

Pasquale Squitieri
Pasquale Squitieri

Palermo, tarda serata di un giorno di primavera d’inizio millennio. Rientro insieme a Pasquale Squitieri nella hall del Grand Hotel & des Palmes, dopo la cena seguita ad uno degli splendidi incontri che l’Accademia della Politica diretta da Bartolo Sammartino organizza ogni anno. Abbiamo parlato, io forse troppo cattedratico, nel ricostruire l’opposizione dei letterati italiani alla rivoluzione francese, lui forse troppo irruento, nell’esaltare l’epopea dei briganti. Squitieri sale per primo in camera, io mi attardo un po’. Nel porgermi la chiave, il portiere di notte mi sussurra con sguardo complice: “Ma quello è il marito di Claudia Cardinale?”

Pasquale Squitieri non aveva mai sposato Claudia Cardinale e da qualche anno non ci conviveva più, ma aveva realmente legato la vita a una delle donne più belle del cinema italiano: l’Angelica del Gattopardo, contesa da Fellini e Visconti. Eppure, in quegli anni, era già un uomo solo, con un grande passato dietro le spalle, vittima della sua indole entusiasta sino alla violenza, esuberante sino all’ingenuità; vittima, soprattutto, della dismisura dei suoi interessi, della sua impazienza per i compromessi. L’impulso a essere sempre e comunque “contro” avrebbe portato questo giurista imprestato al giornalismo e alla regia, quest’uomo di ampia e raffinata cultura ma capace di sanguigne passioni plebee, a riconoscersi nelle ragioni dei vinti: prima l’anarchico Pinelli, vittima, come il commissario Calabresi, di un gioco più grande di lui, poi Claretta Petacci, fedele fino all’ultimo a Mussolini e al suo mito, infine i “briganti” che, un po’ per fame, un po’ per fedeltà ai Borbone e odio ai “galantuomini”, si opposero alla “conquista del sud” da parte dei piemontesi. Ma alla fine sarebbe divenuto egli stesso una vittima: dei suoi errori e delle sue intemperanze (ne ebbe), ma soprattutto dell’odio gretto e vendicativo della sinistra nei confronti di chi, dopo averne condiviso per qualche anno il percorso, aveva scelto di battere altre strade. E aveva osato denunciare le ipocrisie dei cineasti democratici che con una mano firmavano petizioni contro l’abuso di interruzioni nelle pellicole trasmesse dalle reti Mediaset, con l’altra intascavano le prebende per gli sketch pubblicitari girati senza firmarli.

Il divorzio tra Squitieri e la gauche

Il manifesto del film “Claretta”, con Caludia Cardinale, premiato a Venezia

Il grande divorzio fra il “signor Cardinale” e la gauche era avvenuto nel 1984, quando Squitieri aveva portato sul grande schermo il dramma di Claretta Petacci, in una pellicola che non gli sarebbe mai stata perdonata. Il film, sceneggiato in collaborazione con Arrigo Petacco e presentato alla mostra del cinema di Venezia nel 1985, valse a Claudia Cardinale, splendida interprete dell’amante del duce, il nastro d’Argento e il Premio Pasinetti, a Squitieri un odio duraturo. Tre membri della Giuria, Günter Grass, che trent’anni dopo avrebbe confessato la sua militanza giovanile nelle Waffen SS, Rafael Alberti e il poeta russo Evtuscensko (che, come commentò Enzo Biagi in un nobile intervento, “aveva avuto ben altre occasioni per manifestare il suo sdegno”) minacciarono le dimissioni dalla giuria per protesta contro la proiezione di quella pellicola “fascista” in un premio che era stato per altro fondato dal fascismo. L’accorta mediazione del presidente Antonioni riuscì a far rientrare la minaccia, ma ormai Squitieri era entrato nelle liste di proscrizione dei suoi ex compagni di strada, anche per la ruvida franchezza di certe sue dichiarazioni. Il 27 aprile 1984, per esempio, presentando la sua nuova pellicola a “Repubblica”, aveva dichiarato che “se uno accetta Piazzale Loreto, allora deve accettare anche la logica delle Brigate Rosse”. Dieci anni dopo, la sua elezione al Senato nelle liste di Alleanza Nazionale non fece che sciogliere qualche dubbio fra chi l’aveva già schedato fra i “fascisti”.

Squitieri non era fascista: era un uomo libero e “contro”

In realtà, Squitieri non era un fascista, ma un uomo libero, e soprattutto un uomo contro. Che non rifiutava mai l’occasione di épater le bourgeois. Non la rifiutò nel 1999, quando con Li chiamarono briganti! rivalutò la figura del bandito Crocco ed esaltò l’opposizione allo Stato unitario uscito dal Risorgimento (e sbagliò, perché Crocco non fu un eroe: il vero idealista fu il generale carlista Borjes, che non approvava i suoi metodi criminali) non la rifiutò nel 2003, quando, all’indomani del viaggio in Israele di Fini, ridimensionò le responsabilità italiane nella persecuzioni degli ebrei; o nel 2008, quando accettò di ricordare  il sacrificio delle “ausiliarie” al Caffè della Versiliana, per il ciclo di incontri sui Percorsi del Novecento che conducevo con l’indimenticabile Romano Battaglia (e anche in quell’occasione andò un po’ sopra le righe, cercando di far dire a una reduce presente, ovvero Velia Mirri, quello che non sentiva, ovvero che da giovane “odiava i partigiani”).

Per questa libertà pagò un prezzo molto alto, anche quando era ormai un uomo fuori dai giochi, vittima di una vendetta trasversale giustificata con l’alibi dell’antipolitica. Nel 2016, mentre era vittima di un tumore che richiedeva onerose terapie, l’ufficio di presidenza del Senato decise di togliergli non solo il vitalizio, ma anche l’assistenza medica integrativa prevista per gli ex parlamentari. Il motivo (o il pretesto?): una lontana condanna per peculato, reato commesso quando era impiegato di banca, con una sentenza tanto opinabile che il presidente Pertini l’aveva graziato nel lontano 1981.

Non amo le enfatizzazioni polemiche e le cadute melodrammatiche, ma è difficile non ricordare le dichiarazioni di Squitieri dinanzi al provvedimento: “Vogliono uccidermi: la chemioterapia costa!” Tagliare viveri e polizza sanitaria di punto in bianco a un malato terminale in base a un astratto criterio di equità ha conseguenze prevedibili. Non a caso lo stesso Movimento 5 stelle si astenne dinanzi al provvedimento, che colpiva, come fu detto, solo alcuni “poveri diavoli” ormai non protetti più da nessun partito. Dopo la sua morte, anche chi in vita l’aveva avversato ha versato qualche lacrima di coccodrillo su Pasquale Squitieri e la stessa Rai ha rimandato in onda i suoi vecchi film. Anche Rai 3 ha scelto di trasmettere Claretta solo dopo la mezzanotte: l’ora in cui una volta sugli schermi, dopo le note del Guglielmo Tell di Rossini, compariva il monoscopio.

Addio, Signor Cardinale, e che la terra ti sia lieve!

@barbadilloit

Enrico Nistri

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