Milano. Le palme equosolidali al Duomo e il punteruolo rosso a benzina di Quarto Oggiaro

La vignetta di Alfio Krancic sulle palme a Milano.
La vignetta di Alfio Krancic sulle palme a Milano.

Ma il vanitoso non l’intese. I vanitosi non sentono altro che le lodi.

(Il Piccolo Principe, Antoine de Saint Exupery)

Inchiodata sul palmeto veglia immobile la luna. Grazie alla sensibilità commerciale della Starbucks, a Milano torneranno (?) le palme. E saranno piazzate davanti al Duomo. Come nell’Ottocento, dicono. Specialmente quelli che da sinistra chic-cosmopolita-avanguardista-equosolidale guardano con favore al progetto.  Erano grandi tempi, quelli. Quando in tutta Europa fiorivano i giardini botanici come braccialetti coloniali delle grandi potenze del tempo. Era quando il Regno cercava di farsi colonie in Africa Orientale, acchiappava mazzate sull’Amba Alagi e iniziava già a pensare mosse astute per soffiare agli Ottomani quello scatolone di sabbia della Libia. Erano tempi che presagivano un idilliaca convivenza sociale. Erano i tempi in cui gli operai scendevano in piazza e il buon Bava Beccaris, benemerito d’ogni aristocrazia, li faceva cannoneggiare ad altezza d’uomo.

Inchiodata sul palmeto veglia immobile la luna. Starbucks che vuole venire a vendere caffé agli italiani (che in teoria sarebbe come rifilare frigoriferi agli esquimesi) sa bene che non c’è pubblicità migliore di un bel dibattito pubblico. Oggi il commercio viaggia sui social e sulle polemiche. Se non ci fosse la polemica, la notizia meriterebbe un trafiletto confinato nelle pagine di economia. E invece, gnaffe! Ti monto il caso del secolo e guadagno tutti gli hashtag e i trend del momento. Chapeau ai creativi che ci indicano la via del successo, spararla sempre più grossa.

Inchiodata sul palmeto veglia immobile la luna. In teoria le palme stanno ovunque, in quasi tutti i Comuni d’Italia giganteggiano, di solito quelli sul mare, nella pia intenzione di ricordare le atmosfere caraibiche e di incentivare il dogma salvifico del Turismo, il più abusato dei cliché socio-politici degli ultimi vent’anni.  In pratica il punteruolo rosso è diventata una delle più gravose voci del debito pubblico italiano. E c’è già chi vede il complottone dei vivaisti che, con il grembiule da giardiniere, hanno tramato nell’ombra per trasformare Milano in una capitale nordafricana pre-primavera araba. Tranquilli, non c’è nessun complotto. È dura ammetterlo che siamo governati da ciucci, da tremoni e non da tramoni. Le palme a Milano sono solo una scemità da libro cuore postmoderno. Roba da assessoretti paesani alla ricerca di venti righe sul giornale della parrocchia.

Inchiodata sul palmeto veglia immobile la luna. Constate l’impossibilità di ottenere qualcosa con i vostri mugugni social. E guardate al lato positivo. Rigirate la frittata e non siate, sempre, così pessimisti. Se Sala vuole mettere sabbia e cammelli al Duomo, ebbene salutate tutto ciò con profonda gratitudine. Cerchiamo qualche lato positivo a ‘sta vicenda. Tra i caldi banani di Milano fiorirà un Mafarka che, prima o poi, vendicherà il risotto e la cotoletta e il buon senso tradito. E si trasformerà in un ibrido meccanico e immortale, mezzo uomo e mezzo motorino rubato a Quarto Oggiaro e farà impennate tra i tavolini dei caffé, sollevando il disappunto di lorsignori beantisi del cosmopolitismo deciso a tavolino dai creativi di una multinazionale. Fidatevi, incazzarsi non serve a una beata palma. Le conseguenze già li stanno travolgendo. E sarà una sgommata, proletaria, degradata, stralunata, alienata, sradicata, a tuonare il Requiem alla loro boria.

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Alemao

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