La lettera (di M. Veneziani). L’inesorabile declino (arcitaliano) di Berlusconi

luxuria-berlusconi-pascaleCaro Berlusconi,

devo confessarle un piccolo indecente segreto. Quando infuriava la battaglia per cacciarla dal governo, nel 2011, e si sentiva aria di tempesta, ho pensato che lei non sarebbe andato via così, con la coda tra le gambe, ma avrebbe inscenato una battaglia finale con epilogo drammatico o con fuga all’estero. Si, immaginavo un finale epico perché i toni erano accesi, i colpi erano bassi e lei sembrava un Napoleone coriaceo. Finirà in galera, in esilio, istigherà il popolo a insorgere, dicevo; finirà con un colpo di pistola o con un colpo di scena che nemmeno il Caimano di Nanni Moretti aveva immaginato.

E invece finì nel più italiesco dei modi. Lei se ne andò mogio mogio, votando per il suo successore, abbozzando una resa, poi votando pure il successore del successore e il successore del successore del successore, salvo ritirare poi il consenso e denunciare l’illegittimità dei loro governi. Votò perfino per la rielezione al Quirinale di colui che lei stesso ha additato come il principale ispiratore del golpe che l’aveva estromesso dal governo legittimo. Dico nell’ordine: Monti, Letta, Renzi e Napolitano.

E tutto questo non rientrava in una strategia politica ma in un balletto schizoide del tutto personale in cui al più erano i gioco i suoi interessi di imprenditore ma non la sorte dell’Italia o del centro-destra. E tutto questo avveniva con un crollo pazzesco del centro-destra, delfini lanciati e bruciati, schizzi e frammenti da tutte le parti. Furono tanti tra alleati, amici, pretoriani, fedeli servitori, ad abbandonarla. I primi tempi pensai anch’io che si trattasse di opportunisti e traditori ma poi quando il loro numero crebbe e le direzioni assunte furono disparate, capì che il problema più che in loro stava in lei.

A un certo punto lei ha smesso di essere in sintonia col Paese, ha perso la sua capacità di guidare e sedurre, e lo si è visto anche quando ha smesso di essere leader-editore “liberale”, tollerante dei dissensi, e si è fatto trascinare dalla cricca dell’ultim’ora, verso una deriva di rancori, all’insegna di “ma si, cacciamolo, è un altro traditore”. Meno siamo meglio stiamo. Taglia qua, caccia là. Così fece il vuoto intorno a lei.

Da sei anni ormai il centro-destra esiste solo come una promessa virtuale ma di fatto c’è lei che saltella da una parte all’altra, poi un arcipelago di centrini spaesati, più o meno alleati di governo, più l’asse destrorso tra Salvini e Meloni che lei annette e sconfessa a giorni alterni. La sua eredità politica sembra distribuita un po’ ovunque: Renzi ne è la versione young e politically correct, Grillo ha ereditato il suo radicalismo antipolitico, Salvini e Meloni proseguono a destra la sua linea populista, più alcuni suoi ex affiliati che rispecchiano la sua versione moderata. Ognuno di loro può rivendicare una fetta di eredità e non a torto.

Il berlusconismo si è dissolto e diffuso nell’aria. Lei vaneggia ancora di una rivoluzione liberale, moderata ma avversaria e complice del centro-sinistra. Ma non si capisce la differenza tra voi: non divergono programmi, idee, culture politiche (che non ci sono da ambo le parti, anzi da nessuna parte). Anche se oggi la sua presenza è più di ostacolo che di aiuto al formarsi di un vero centro-destra competitivo, non posso dimenticare alcune cose. Lei ha compiuto in Italia un miracolo che non si è ripetuto da nessuna parte: è riuscito a mettere insieme al governo moderati e populisti, destra nazionale e lega localista, e a comprendere nella sua larga alleanza i reduci della prima repubblica e i reduci della repubblica sociale, democristiani e missini, socialisti, liberali e destre. Un miracolo.

I risultati, è vero, non furono brillanti ma sul piano elettorale furono sorprendenti: lei vinse tre volte sulla sinistra, ha fatto il governo più lungo della repubblica ed è caduto solo per una congiura politico-economica internazionale (‘ncopp o’spred, per dirla in linguaggio teutonico-napoletano, tanto per alludere ai sicari). Poi non le rimprovero di non aver fatto cose di destra, in difesa della civiltà cristiana o della nazione, della cultura e della famiglia; altri suoi alleati avrebbero dovuto tenere a quei punti ma non lo fecero. Lei era uno straordinario competitore elettorale con una prodigiosa capacità commerciale nel mercato elettorale.

Ma non era uno statista, non aveva una cultura, una passione politica o un’eredità da difendere, e il patrimonio nazionale le interessava molto meno del suo patrimonio aziendale. Non dirò che fu un pessimo premier, e non confondo la sua azione di governo col gossip o la gogna giudiziaria dei quali fu vittima non innocente. Dirò solo che è stato nella media dei governi e governicchi italiani, pur disponendo in certi momenti di un potere e un consenso parlamentare senza precedenti.

Ora la rivedo come se fosse la riproduzione cartonata del Berlusconi che conoscemmo. Ci toccherà difenderla ancora da chi la considerò il Male assoluto e ci toccherà combattere chi pensa ancora che lei possa fare qualcosa di utile all’Italia di oggi e di domani. Lei si è assicurato un posto nella storia, anche se una storia senza gloria, di questa repubblica. È ancora in tempo per uscire con un maestoso congedo dalla scena politica italiana, lasciando che la destra in Italia diventi maggiorenne. Si appelli all’età grave, alle ferite, alle delusioni, ma abbia il coraggio di lasciare la ribalta con dignità.

Il suo tempo finì qualche anno fa, insieme a qualche altro suo alleato; non partecipi ora al suo caricaturale backstage. Glielo dico col cuore in mano, senza rancore, con un filo di affetto, nonostante tutto. Il leader passano, l’Italia resta. O perlomeno vorremmo che resti.

*Da Il Tempo

@barbadilloit

Marcello Veneziani*

Marcello Veneziani* su Barbadillo.it

Exit mobile version