Musica. Ivan Graziani, una voce libera negli anni del conformismo culturale

Ivan Graziani
Ivan Graziani

Venti anni fa, Ivan Graziani. Venti anni fa si spegneva la sua voce. Troppo presto. In questi giorni lo hanno ricordato alcuni articoli. Andrebbe tuttavia riproposta un’analisi sull’Italia anni Settanta e Ottanta, su un mondo artistico in cui il racconto di Graziani era autentico, fuori dal coro. Per questo il conformismo culturale non andava d’accordo con il cantautore abruzzese: forse perché Ivan non cantava la rivoluzione e ciò era una colpa in quegli anni. Oggi, con una sensibilità post-ideologica, le sue canzoni viaggiano verso paesaggi di provincia, narrano storie di amici, di padri e di figli,  come il padre di ‘Lugano addio’, “fermo sulla spiaggia”, uomo semplice e vero “con le bestemmie e il suo dolore.”

Quando riascoltiamo ‘Pigro’, riconosciamo una critica alle mode culturali che hanno tiranneggiato. Il pigro era  l’intellettuale stereotipato, il modello stracotto di quegli anni, la pelosa intelligenza che puniva “i figli in maniera esemplare” e poi pontificava “siamo liberi nessuno deve giudicare nessuno deve giudicare…”  Con ironia Graziani dipinse un affresco di quegli anni e vi sono immagini da ritrovare nei suoi testi. In ‘Noi non moriremo mai’ è leggibile l’esistenzialismo di chi pensava che le idee fossero valevoli solo se avessero spinto a resistere, “E anche Noi, Cavalieri del Vento, non moriremo, anche nella tempesta, mai..”

Le citazioni sono illimitate. Piace ricordare il musicista che citava Gabriele d’Annunzio con sarcasmo, “Gabriele ha il naso a tubo di stufa e le calze le cambia a Natale. Lavarsi non serve e il maschio ne perde.”  Ecco testi scritti con l’immediatezza dell’intuizione lirica,  testi che non assomigliano ad altre scritture, testi abbracciati dalla maestria di un chitarrista apprezzato da Lucio Battisti, il quale si interessò per lanciare il suo amico che portava sul naso grandi occhiali. Il mercato musicale lo amò più volte, ma volle pure dimenticarlo. Ma, dopo il silenzio, Ivan sapeva ritornare. Lo fece con la sublime ‘Firenze’ nel 1980 e nel 1994 con ‘Maledette malelingue’, un componimento, portato a San Remo, per proteggere l’innocenza di  una ragazza.

Musicista complesso. Le sue opere o ballate romantiche o scariche di rock. Poteva suonare alla Festa dell’Unità come in una piazza di Teramo. Non aveva consorterie artistiche dietro le quali stare. Il suo lavoro procedeva verso realtà mai pensate dagli altri. Sia consentita una piccola esperienza personale. Pochi giorni fa, dopo una lezione, ho parlato di Graziani. Gli studenti si sono guardati negli occhi come per dire: Prof, non lo conosciamo! Chi è questo cantautore per leggenda nato su un traghetto in viaggio tra Olbia e Civitavecchia? Chi è questo artista che si fece seppellire con la chitarra? Ma qualche giorno dopo, prima delle vacanze, ritornando in aula, sulla lavagna qualcuno ha scritto, “Io vado in bicicletta/ per sentirmi vivo/ alle cinque di mattina/ con la nebbia nei polmoni…” e sotto firmato “Ivan”.  

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Renato de Robertis

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