StorieDiCalcio. “Troppi stranieri, lascio il calcio”, il lato oscuro (e precario) del pallone

cardelli dagoNon è storia di oggi, non è storia (solo) di calcio. C’è una lettera che ha scandalizzato il web, come si dice oggi quando si vuole parlare di una cosa che è diventata virale fra latrati e incazzature digitali. Quella di un calciatore della Primavera della Lazio che, armi e bagagli, ha lasciato Formello e i sogni di gloria per andarsene negli Stati Uniti, lontano. A far che, non s’è capito bene. Di sicuro in Italia non vuole tornarci più.

Ne abbiamo sentite decine e decine di storie simili, ne viviamo ogni giorno e fa specie che l’insostenibile pesantezza del precariato sia arrivata pure sui campi di gioco. Caspita! Anche i calciatori piangono? Sì. Specialmente quelli della Primavera, i ragazzini che si fanno male e devono salutare i sogni di gloria, di famiglie che si affidano a mediatori più sconclusionati del presidente Borlotti della Longobarda. Né più né meno che cavalli da corsa. Che una volta spezzati (nello spirito, soprattutto) si devono consegnare al macello. Ognuno di noi ne conosce almeno uno, di questi ragazzini (magari diventati uomini) spaesati e sconvolti.

Ma torniamo al caso Lazio. Scrive Filippo Cardelli, lanciato dalla Gazzetta e rilanciato da Dagospia: “Dopo 10 anni di sacrifici lascio il calcio. Ci tengo a chiarire che non ho avuto nessuna divergenza con l’allenatore come è stato scritto, anzi il mister è sempre stato onesto con me. Lascio perché sinceramente questo non è più lo sport di cui mi sono innamorato da bambino. Non vedo che senso abbia giocare nella Lazio Primavera e essere circondato da stranieri, e non solo, essere trattato pure come una merda, dopo tutti i sacrifici che ho fatto”. Giusto per la cronaca, non scrive uno di 35 anni che s’è stancato di rimediare ingaggetti nelle parrocchie di periferia ma un ragazzino di 18 anni.

Che prosegue: “Finché si tratta di rinunciare agli studi, agli amici, alle ragazze, è tutto accettabile perché ho un sogno, e il mio sogno viene prima di tutto. Ma quando ti senti dire che dopo un crociato rotto non sei sicuro di avere le cure della società perché non hai il contratto, quando non puoi mangiare a Formello nei giorni di doppia seduta perché non hai il contratto, quando non puoi andare in palestra a migliorarti perché non hai il contratto, quando non ti pagano la visita medico agonistica perché non hai il contratto, ti cascano le palle e rimangono per terra. Ed ovviamente gli stranieri hanno il contratto e guadagnano anche tanto… Non ho mai giocato a calcio per i soldi ma solo per la felicità di far parte di un gruppo di amici che lottano per un obiettivo comune, ho giocato a calcio per il desiderio di poter dire “cazzo ce l’ho fatta”, sono arrivato. La Serie A è piena di stranieri, il calcio degli italiani è morto, e sinceramente se devo essere trattato come uno straniero in patria preferisco andarmene”.

Il calcio, dicono quelli che sanno, è lo specchio di una nazione. E una metafora migliore del destino delle giovani generazioni in Italia non poteva esserci.

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