Il caso. Oltre Trump, brindiamo alla fucilata di Clint Eastwood contro la pussy generation

clint eastwoodGli avesse lanciato un sasso in faccia a uno di questi santerellini, lo avesse preso a schioppettate, lo avesse ridotto a grattugia con la sua 44 Magnum, gli avrebbe fatto (molto) meno male. Viva Clint Eastwood e abbasso la generazione delle fighette, cresciuta a pane, sensi di colpa e terrore mascherato da bon ton.

Non ho chissà che simpatia per Donald Trump, lo ammetto. Dalla sua ha il fatto di aver guerreggiato con i signor Bush e con l’estabilishment repubblicano già da tempi non sospetti, tant’è che ora gliela stanno facendo pagare ritirandosi, a mano a mano, dall’agone elettorale. E da oggi ha dalla sua il fatto che, se i politici di carriera del Gop lo abbandonano, trova sulla sua strada un mito che non le manda a dire. Però chiariamoci su ‘sta questione del non avere peli sulla lingua che è cosa diversa da averne sullo stomaco.

Clint Eastwood ha dichiarato, candidamente, di essere stufo di essere circondato da gente compita e ben educata che, nei fatti, ha paura della sua stessa ombra. Abbasso i leccaculo, o i fighetti come riportano alcune traduzioni, evviva chi le cose te le sbatte sul grugno. Non è il delirio di un vecchietto che ha passato la vita a girare film attorno alla glorificazione della figura del maschio Alfa. E nemmeno uno slogan di prammatica. Fosse solo questo, Eastwood, rientrerebbe pari pari nella categoria degli impauriti che, per darsi un tono, incosciamente seguono quell’insegnamento di Sun Tzu che suggerisce – quasi come fanno i gatti – di gonfiarsi per indurre il nemico a credere di trovarsi di fronte a qualcuno più grosso di lui. Francamente, incasellarlo qui (come molti professori di sensibilità hanno fatto dietro la fresca tastiera), è ingeneroso.

Perché solo chi non sa leggere, non capisce. Le “fighette” di cui Eastwood parla sono i pavidi, i dormienti, i furbacchioni, i piacioni, le pasionarie di battaglie che esistono solo nella loro mente, i guerriglieri da tinello, i fabbricanti di diritti a schiovere che manco l’hanno capito che ce n’è così tanti da averne causato un’inflazione, quelli con il cravattone quadrato che vendono sicurezze che non sanno manco loro dove stanno di casa, gli incensieri dell’ignoranza e del volemose bene, i corifei del “cosi fan tutti”, i giocatori multitavolo, quellli che la cultura non serve a niente, quelli che la cultura è solo la loro e di nessun altro, quelli che io so’ io e voi non siete manco pari al nobile attributo citato dal mitologico marchese del Grillo.

L’insistente filastrocca del sozial – che sempre sia stramaledetto come Céline ci insegna – è una maschera invadente e invasiva dietro cui si nascondono le grette mediocrità dell’individualismo postmoderno. Insomma, riformisti  che magari abbiano il coraggio di ripensare un sistema non ce n’è più; in compenso abbiamo caterve (sicuri?) volontari, di Ong utilissime (anche) a scaricare le tasse. Siamo, oggi, più vicini alla società affamata e tisica della Londra vittoriana che al paradiso liberale compiutosi in terra con la fine della storia profetizzata da Francis Fukuyama (che sarà ricordato appunto da quella storia che sarebbe dovuta finire come il più grande pescatore di cantonate del ventunesimo secolo)?

Sono quelli che stanno zitti o si sbracciano su scemità per il gusto di non disturbare o di farsi notare dai padroni del fumo. È una generazione che fugge cullandosi nel grigiore, che scappa dall’unica cosa che separa l’uomo dall’animale: il concetto di responsabilità. In un mondo che propone sfide epocali, forse anche più grandi di quelle vissute fino a qualche decennio fa, credere di vivere testimoniando in 140 caratteri l’hashtag del momento è da vili.  Ed è per questo che Clint Eastwood c’ha ragione.

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Alemao

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