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Un tiro al lato, di poco al lato del palo alla destra di Bravo, dopo aver rubato il pallone a Medel, che ricorda un altro gol mancato: quello col Real Madrid, nella Champions League del 2010, quella che aveva la finale al Bernabéu, quella del tutto calcolato: vinciamo noi, della partita col Lione, il tiro di Higuain finì sul palo, dopo che aveva scartato il portiere Hugo Lloris ed essersi bevuto i difensori Cris e Boumsong. Non si sa ancora se anche Higuain lascerà la Selección, rimane un dato che lo separa dagli altri, da una generazione del calcio che trasversalmente allaccia il mondo e va oltre i campi, lui – forse per tradizione familiare – non molla, fino alla disperazione. Non mostra quell’atteggiamento che è evidente in Messi, un distacco, un disinteresse – che abbiam visto anche l’altro giorno in Pogba – che Romario risolse superficialmente con la diagnosi di autismo. È qualcosa di diverso e che appartiene a una trasformazione antropologica, dove la vittoria con la Nazionale è secondaria, al punto che dopo pochi tentativi si può anche smettere di lottare, perché si ha il paracadute di un club titolato che macina vittorie o perché anche il calcio è stritolato nel nichilismo dello spettacolo fine a se stesso e ai profitti in borsa. L’Argentina ha una mancanza di carisma a dispetto di un parco giocatori che non schiera nessuno, ha una mancanza di tattica dovuta all’impossibilità di fare orchestra per sovraffollamento di solisti, ed è rimasta stritolata nel “date la palla a Messi”, per due volte in due anni, a dispetto di un Cile che invece dice: giochiamola tutti, dando ad Edu Vargas per due volte di seguito la possibilità di essere capocannoniere. Il calcio si gioca in undici, e quegli undici scarsi o meno devono ricoprire spazi, avere un ruolo preciso, a meno che tu non abbia Maradona.
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È questo il nodo. Serve una “cholizzazione” dell’Argentina, bisogna chiedere a Diego Simeone – non a caso faceva parte dell’ultima Selección che vinse la Copa America – se non di allenare, almeno di passare quella fame pugilistica che lo nutre e che a sua volta nutre le sue squadre (sì, ha perso due finali di Champions League, ma ha vinto la Liga, e il suo metodo funziona). Ed è curioso che il metodo Bielsa (che quest’anno vedremo da vicino con la Lazio) in Cile sia fiorito e in Argentina no. Quasi che a Buenos Aires o Rosario, dopo Maradona, debbano nascere e crescere campioni incapaci di staccarsi dall’ombra della sua gloria.
*Da Il Mattino
@barbadilloit