StoriediCalcio. Hidetoshi Nakata alla ricerca del tempo perduto (dal Giappone)

nakataSe si dovesse invidiare un calciatore, questi sarebbe Hidetoshi Nakata. Più raffinato Tomas Becker che devastante Holly Atton, il samurai dell’assist ha insegnato all’Italia delle sette sorelle che pure in Giappone c’era qualcosa da dire in un rettangolo verde vero, non solo su quelli sghembi e gobbi inventati dal mitologico Yoichi Takahashi. Dal Perugia della buon’anima di Lucianone Gaucci alla Roma dello scudetto (suo fu il gol che completò la rimontissima nello scontro diretto contro la Juventus ancora a guida triade) fino all’Emilia Parma prima, poi a Bologna e quindi alla Fiorentina. Quindi, il colpo d’ala (per citare il programma radiofonico che Enrico Ruggeri conduce ogni pomeriggio su Radio 24). Si fa un’annata in Premier League, al Bolton, compie 29 anni e si ritira. Si stanca del pallone e inizia a girare il mondo.

Sissignori. E qui che potrebbe allignare l’invidia: la forza di imporsi al mondo, alle consuetudini, all’abitudine stessa. Partire per spirito d’avventura, non per bisogno, non per disperazione, non per strappare un ultimo ingaggione da fine carriera. E chissenefrega. Hidetoshi Nakata, classe insuperata da qualsiasi altro asiatico prestato al futbol,  comincia a girare il mondo. Si fa la partitella d’addio e riparte. Gira, ha fame. Vuole nutrire gli occhi dell’anima ma niente riesce a placare la su bulimia d’esperienza e di ricerca. Fonda pure un’etichetta di moda. Dalla casacca ai giacconi. Dal taglio per i compagni a quello del cappotto. Non è ancora tutto.

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Girare, vagare, fare esperienze come la tartassante propaganda “ggiovane” non è abbastanza. È cosa caduca. Adesso l’invidia si fa veramente tentazione viva con l’ammirazione più ardente dello scrivente, Nakata ha capito che cosa gli manca: conoscere la sua terra. E così torna in Giappone, visita a una a una tutte le prefetture, tutte le città, tutti gli angoli dell’Arcipelago del Sol Levante. Annota ricchezze, tesori e risorse. Cattura paesaggi, racconta l’artigianato perduto nell’ipertecnologico Giappone, riferisce come si fa germogliare la terra.

Il progetto finisce on line, si chiama “Revalue Nippon”, rivalutare (o meglio, riscoprire) il Giappone. Che è cosa rivoluzionaria nell’attuale civiltà nipponica, ferita e frustrata dalla sconfitta del ’45 al punto da lasciarsi condizionare culturalmente dalla prepotenza del vincitore. Qualcosa simile a una ricerca del tempo perduto che parte da una prospettiva individuale ma finisce in un orizzonte comunitario e nazionale. Intervistato in proposito, nel 2014, da Vogue, in merito al tempo che non basta mai per visitare e conoscere davvero ognuno dei posti in cui ha scelto di fare tappa, ha detto che: “La cultura progredisce sempre perché la vita dell’uomo non si ferma mai. Non c’è fine al mio viaggio. È per questo che mi piace”. Ci vuole un animo veramente anticonformista per seguire gli insegnamenti della tradizione, ci vuole davvero coraggio per perseguire l’obiettivo di “conoscere se stessi”, ci vuole l’anima artistica e delicata del felpato Tom Becker perchè non può bastare essere (solo) super-campioni come Holly per ottenere il rispetto del mondo.

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Giovanni Vasso

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