Il caso. Condannato Zemmour: è la democrazia totalitaria multiculturale, bellezza!

Zemmour e l'ultimo suo corrosivo saggio sulla decadenza francese (non ancora tradotto in Italiano)
Zemmour e l’ultimo suo corrosivo saggio sulla decadenza francese (non ancora tradotto in Italiano)

Eric Zemmour è stato appena condannato per incitamento all’odio razziale e religioso. Immediatamente, i suoi numerosi nemici hanno festeggiato: infine, il cattivo saggista sarà riconosciuto come un delinquente pericoloso dai Francesi. Questa sarà di nuovo l’occasione per cercare di allontanarlo dallo spazio pubblico, accusando i suoi editori di avere al proprio servizio un propagatore di odio, un polemista ignobile che non dovrebbe avere accesso alle grandi tribune. Questa non sarà la prima volta né l’ultima. L’occasione è buona per cercare di farla finita con colui che è diventato il diavolo della sinistra multiculturalista francese.

Torniamo alle frasi sanzionate di Zemmour. Sono facilmente riassumibili: egli crede che la Francia, prima o poi, possa scivolare nella guerra civile. Quest’ultima forse è già iniziata, senza che si osi nominarla. Ci si accontenta di trattare come fatti di cronaca o come avvenimenti isolati le tensioni intercomunitarie che testimoniano un’implosione nel Paese. L’immigrazione di massa ha creato un nuovo popolo e, piaccia o meno, il continente europeo sarà probabilmente testimone di scontri significativi nei prossimi anni. Infatti, l’immigrazione di massa avrà rappresentato un suicidio identitario per l’Europa.

Perché le frasi di Zemmour dovrebbero finire sotto i colpi della legge? Perché dovrebbe essere vietato essere pessimista sul futuro delle società occidentali?

Poniamo le cose semplicemente: si può essere d’accordo con Zemmour e vederlo come un uomo illuminato e coraggioso, proprio come si può non essere d’accordo con lui e accusarlo di catastrofismo e, in questo caso, gli si risponderà duramente. Ma il pessimismo dovrà essere proibito per legge? Paventare un pericolo e annunciarlo, significa desiderarlo? A meno che non si debba profetizzare un futuro radioso per essere il benvenuto nello spazio pubblico e guadagnare il titolo di interlocutore rispettabile?

Stranamente, forse è di questo che si tratta. L’ideologia multiculturalista al potere in tutte le società occidentali ha qualcosa di una religione politica che suscita un fanatismo ideologico inquietante tra i suoi promotori: distingue il mondo fra prima della rivelazione “della diversità” (nel senso del cambiamento progressista rispetto alle società occidentali fino a qualche tempo fa, ndt) e quella successiva. Prima, il mondo era caratterizzato da numerose discriminazioni e da esclusioni detestabili. Era il tempo della grande perfidia identitaria, in cui l’identità nazionale giustificava un’omogeneità autoritaria al servizio esclusivo dell’uomo bianco eterosessuale. La coscienza collettiva ufficiale in Occidente è attraversata da questo fantasma, tanto che è spesso al centro dei programmi di storia scolastici.

Il mondo, dopo la rivelazione “della diversità” sarebbe tutt’altro. Profetizza una società nuova, basata sul reciproco riconoscimento delle differenze sotto il segno di una convivenza armoniosa. La condizione perché questo mondo si compia, tuttavia, è che le nazioni occidentali rinuncino a porsi ognuna al centro di ciascuno dei propri Paesi e di proporsi come norma identitaria e culturale. Non ci deve più essere alcuna distinzione tra cittadini e stranieri, abolendo d’un colpo la necessità, per questi ultimi, di assimilarsi ai primi. E’ l’idea di un mondo radicato che deve morire. L’uomo nuovo, senza pregiudizi, vedrà arrivare il suo regno.

Evidentemente, le cose non accadono come vorrebbe la profezia multiculturale. Le società europee scoppiano. E’ possibile indovinare una crisi maggiore. Il contagio islamista in alcune città non è che un aspetto. L’ideologia multiculturalista deve tradurre queste opposizioni nella sua logica sociologica. Si vedrà in generale una contrazione delle popolazioni “originarie” che tarderanno a convertirsi alla rivelazione della “diversità”. In una parola, la Francia sarà colpevole delle proprie sfortune. Il suo crimine? Non considerarsi una pagina bianca e voler conservare il proprio patrimonio storico e la propria cultura. Questa tensione causerà diverse fobie che bisognerà combattere politicamente e forse anche penalizzare giuridicamente.

La formula ritorna spesso: la libertà di espressione non dovrà essere quella di predicare l’odio, di stigmatizzare certe comunità o di criticare certe religioni. Ma la definizione dell’odio e delle fobie è tanto imprecisa quanto estesa. Inoltre, assistiamo a un ampliamento del dominio di ciò che è vietato. È forse inevitabile: al ritmo con il quale il nuovo mondo si impone, tollera sempre meno ciò che gli ricorda il mondo antico e coloro che si ostinano a essergli fedeli. E’ il paradosso progressista: più suscita resistenze nella popolazione, più crede di doversi radicalizzare. Più il dissenso ideologico sarà forte, più bisognerà reprimerlo.

Si arriva alla condanna di Zemmour che ci dice molto sul destino riservato all’opposizioone ideologica al regime multiculturalista. E’ semplicemente inammissibile. Non si potrà tollerare nel cuore dello spazio pubblico un uomo che contesta apertamente le fondamenta del multiculturalismo e di conseguenza proponendo di ripristinare le fondamenta del vecchio regime, del quale non si deve pensare che male. Zemmour trova chiaramente un’eco fra coloro che gioiscono nel vedere il loro malessere politico e culturale chiaramente espresso al centro dello spazio pubblico. Diviene il portavoce mediatico di un profondo dissenso popolare, tanto più che i partiti “di destra” hanno da tempo rifiutato di tradurlo politicamente.

Ma la sinistra multiculturalista stenta a credere che non si voglia davvero l’avvenire radioso che promette. Deve quindi trovare un grande colpevole accusato di manipolare le masse messe fuori strada e attraversate da impulsi cattivi. Le si accusa anche di lusingare la parte peggiore dell’uomo, quella che la civiltà dovrebbe giustamente mettere fuori legge e spingere ai margini della vita sociale. Zemmour diventa allora bersaglio pubblico. La loro emergenza mediatica testimonia piuttosto la rottura di una diga: alcune realtà che erano vietate o, almeno, certi sentimenti, sono ora al centro della vita civile.

Coloro che accusano Zemmour d’aver generato la protesta popolare con alcuni amici intellettuali e giornalisti gli attribuiscono un grande potere demoniaco, come se essi avessero il potere di creare le cose semplicemente nominandole.

Si comprende il motivo per il quale si deve censurarli in tutti i modi possibili. Soprattutto, deve essere un chiaro messaggio per giustiziare pubblicamente coloro che annunciano la brutta novella. Bisognerà prima di tutto affibbiare loro una cattiva reputazione, per esempio accusandoli di fare il gioco del Front National oppure accusandoli di spingere il Paese verso la Destra.

Il prezzo da pagare per rompere i codici della rispettabilità “della diversità” deve essere sempre più alto. Ma gli insulti non sono più sufficienti e l’intimidazione progressista è sempre meno efficace. La sanzione deve essere chiaramente stabilita agli occhi di tutti: le condanne per incitamento all’odio permettono di respingere fuori dalla città e dall’umanità coloro che sono riconosciuti colpevoli. Il regime multiculturalista reinventa l’ostracismo e il diritto deve partecipare a una ricostruzione dello spazio pubblico alla luce dei nuovi divieti morali e ideologici prescritti dall’ideologia “della diversità”.

Ci si esaspererà con ragione per l’incredibile potere delle varie lobby che riescono così a etichettare sempre in maniera più riduttiva la libertà di espressione. Ma questa esasperazione sarà incompleta se non si denuncerà lo zelo ideologico dei giudici e le leggi liberticide sulle quali si basa la loro azione. Il multiculturalismo è un sistema politico che si difende contro il ripudio popolare diventando sempre più autoritario. Non è chiaro come ogni nazione riuscirà a uscirne senza abolire queste leggi liberticide e senza ripristinare le condizioni per una autentica libertà di espressione, emancipata dalla censura ideologica e giuridica.

[Da lefigaro.fr. Traduzione dal francese di Manlio Triggiani]

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Mathieu Bock-Côté

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