La provocazione. Perché la destra non costruisce (in Italia) egemonia culturale

cultura-680x365E’ tempo di sintesi, a destra. No, non sintesi politica: quella la fanno i “liders”, che si contendono lo scettro di vate a suon di mi piace e retweet. E’ tempo di sintesi umana, di sintesi epidermica. Scrivo alle tre sorseggiando Negramaro in una notte in cui a Pavia, la mia città, la nebbia annebbia perfino la punta del naso. Fermati qui se pensi che questo sia il solito sermone programmatico dell’ennesimo “camerata” intellettualoide ubriaco, chiudi e clicca altrove. Magari pensi sia uno sfogo alcolico e ne hai sentiti tanti, vero? Beh, un po’ brillo lo sono, hai ragione. Posto il mio pensiero su Barbadillo perché lui è l’unico che mi ascolta. Magari De Feudis mi scrive in privato che certe cose non si fanno: fa nulla, ci provo. Il problema è che non ho nulla di rivoluzionario da dire. Voglio dire una cosa banale, di quelle che i veri intellettuali la leggono a metà e commentano sarcastici. In questa notte di inizio dicembre voglio parlare di come la sinistra sia riuscita a conquistare il monopolio culturale. Eh? Tu, dico a te: non ti eri mai chiesto il perché, vero?

Odio gli smile, immagina grasse risate. Lo so, ogni sera tra di noi ci si chiede il perché la sinistra abbia conquistato l’egemonia culturale che va dalla Litizzetto a Saverio Ferrari. Tutte le sere, quindi tutte le risposte. C’è la sinistra che monopolizza militarmente la cultura. C’è Buttafuoco che invece se ne frega e va controcorrente, l’intelligenza di destra è lamentosa e rancorosa: se fai qualcosa di bello non c’è “area” che tenga. Litighiamo, mentre la birra si raffredda. Le ricette ci sono, a Milano, a Roma, a Palermo. Basterebbe cucinarle come si deve, pensiamo sempre ordinando la seconda pinta.

Stanotte di ricette non ne ho – le ho esaurite tutte, forse -, ma pretendo di poter dire una cosa banale, un pensiero infantile su cui rimuginavo nella mia monotona e vinosa quotidianità. Perché a volte noi si pensa che siano/siamo tutti fenomeni, per cui ogni spunto è già tritato. Fa nulla, io lo metto in bozze su Barbadillo, al massimo c’è il cestino. Basta preludi, eccomi con una domanda: perché? Perché lui sì e io no? Perché Pansa sì e PIsanò no? Versandomi il fondo di Negramaro, l’lluminazione: il feedback. Inglesismo, sì, che sta per “mi piace, condivido, se lo dice lui è vero e giusto”. D’altronde, pensateci, chi decide che un libro o un articolo vale più di un altro? Al netto di qualsiasi spinta strutturale, lo decidiamo noi. So che non ti pare rivoluzionario, ma se ci pensi bene lo è eccome. Chi dice che sei bravo? Lo dicono gli altri. Ecco, a sinistra quelli di sinistra dicono che qualsiasi cosa di sinistra è bella. E allora l’altra domanda: perché a sinistra per fare opinione basta piacere a quelli di sinistra mentre a destra, per piacere, bisogna fare cose mastodontiche? Perché manca la cultura del feedback, il vero indicatore di qualità, relativa e identitaria, dell’universo culturale odierno. Ho finito il Negramaro ma lo dico da giornalista lucidissimo che tutti i giorni parla con giornalisti di destra bravi che lavorano per editori di sinistra. Lavorano perché sono bravi. Prendono lo stipendio da loro, gli editori di sinistra, perché sono bravissimi. Ho finito il Negramaro e so che di feedback per questo sfogo ne avrò ben pochi. Poco importa, l’importante è che quando tu – consigliere comunale o ministro che sia – sappia una cosa: se condividi a destra, senza paura e senza logiche idiote, fai il tuo bene. Sembra facile. Sembra, perché sembra invece che condividere a destra sia complicato. Nel mondo del “dicono che” quello che dicono sei tu a deciderlo. E’ un meccanismo più sottile di quello elettorale, magari meno banale, ma sappi che a sinistra ci marciano da sempre con grassi risultati.

@barbadilloit

Gegè Gerson

Gegè Gerson su Barbadillo.it

Exit mobile version