Il caso. Perché il televisionista Floris batte il giornalista (della carta) Giannini

Giannini vs Floris
Giannini vs Floris

Giovanni Floris batte Massimo Giannini negli ascolti. “Di Martedì”, la trasmissione de La7 supera “Ballarò” in onda su Rai3, ed è dunque il giornalismo della carta stampata a soccombere rispetto a quello televisionista perché la disfida non è tanto nei volti ma nella sostanza di uno specifico. Uno specifico filmico, si potrebbe dire. Laddove è la professionalità delle immagini a vincere sulla chiacchiera, è la specializzazione del ritmo ad attrarre rispetto all’assegnazione dei ruoli in commedia ed è il mestiere di chi sa fare in confronto a chi non sa fare – con quell’affare lì, con lo schermo – a rendere giustizia a quello che fino a ieri, il dio della televisione, è stato un dio minore nel pantheon dell’informazione. È il luogo delle immagini, la tivù. Una cosa è Michele Santoro, un’altra è Gian Antonio Stella (un professionista immune da videite). È quest’ultimo ad avere saputo evocare – anche dall’alto dei libri – “la casta”ma è stato il Conduttore unico delle coscienze ad aver saputo mettere in scena la stagione dell’antipolitica.

Un pur fuoriclasse come Giannini parte da un patrimonio del 12% di ascolti, si salda in una rete importante qual è Rai3 e però capitola rispetto a un televisionaro come Floris il cui cursus honorum –tutto di tivù, non certo di alta scrittura – lo fa forte al punto di ribaltare lo svantaggio: quello di dover partire da zero e da una rete qual è La7 dove uomini e mezzi sono al minimo. Ed è un altro mestiere, quello della tivù, rispetto a quello della rotativa. Al posto della parola, quella che sta sul giornale, lì –in onda –c’è l’immagine. Al posto della scrittura, lì – in trasmissione – c’è il montaggio. Ed è solo il pregiudizio tutto del giornalista, rispetto al televisionista, a considerare i filmati come elementi di fastidio. Ed è da ciò che va a generarsi l’orgia del bla-bla. Mario Calabresi, impacciato col mezzo, non ce l’ha fatta a farsi divo della telegenia. Gianni & Riotto, detto Johnny, pur continuando a stare in tivù, si conferma un impiastro. Ed è così, anche con le mani legate dietro la schiena, che i Sergio Zavoli, i Giovanni Minoli e i Santoro, appunto, quella cosa lì –la televisione –continuerebbero a saperla fare come mai gli Eugenio Scalfari, gli Ezio Mauro e i Luciano Fontana (giusto altri professionisti immuni dalla videite) potrebbero sperare di realizzare.

Gli ignoranti di televisione stanno in televisione, questo è il punto. Tutto ciò che è video s’è incartato, nel senso proprio del termine, ma la tivù è cosa ben diversa da un giornale messo in onda. E se è normale che una grande firma del cartaceo abbia da subito una trasmissione da dove orchestrare il proprio senso di sé – l’essere riconosciuto, l’avere tante donne e altre regalie di società – per un televisionista, nel viaggio dalla gavetta alla ribalta, è impensabile che abbia da subito il conforto dei riflettori. La televisione è arte del taglio, è grammatica della sequenza serrata (i sette secondi da telefilm), è drammaturgia e sempre che il televisionista abbia una faccia – una maschera del dramatis personae dello specifico filmico, ops, televisivo – arriva in scena avendo imparato a leggere il minutaggio. Non se mai visto nei giornali un biondino appena arrivato messo alla prova con un editoriale mentre nel video incartato l’ultimo che arriva vi accende un giornale e spegne la tivù. (dal Fatto quotidiano)

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Pierangelo Buttafuoco

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