Tv/Anime. Yamato 2199 tra patriottismo eroi e citazioni di Mishima

tAG_181364Parafrasando l’inarrivabile Svart Jugend, in “Uchuu Senkan Yamato 2199” c’è tutto, tranne le Peroni. Chiunque abbia più di trent’anni ricorda una serie giapponese – malamente tradotta dagli americani – intitolata “I guerrieri delle stelle”, in cui la corazzata spaziale “Argo” doveva attraversare la galassia in 365 giorni per salvare la Terra dalla radioattività delle bombe sganciate da invasori alieni. Quel cartone, o anime, è opera nientedimeno che di Leiji Matsumoto, il papà di “Capitan Harlock”, e nella sua versione originale racconta della seconda vita della corazzata “Yamato”, il cui relitto viene trasformato in astronave dai terrestri ridotti oramai alla canna del gas dai bombardamenti nemici (vi ricorda nulla?). Un capolavoro di orgoglio patriottico apparso sugli schermi giapponesi nel 1974. Evidentemente agli adattatori dell’emittente USA Syndication l’eccesso di nazionalismo di “Uchuu Senkan Yamato” non doveva sembrare troppo consono ai palati statunitensi, e nel 1979 pensarono bene di rimuovere ogni riferimento al Giappone, americanizzando il cartone che con questa nuova veste è poi apparso sui teleschermi italiani. Fra i rimaneggiamenti più odiosi dei censori americani, oltre al cambio d’ogni nome, vi fu l’eliminazione di ogni riferimento al sake (il cui ruolo nella cultura giapponese travalica quello del semplice alcolico) e i tagli nella sequenza iniziale, in cui viene mostrata la fine storica della “Yamato”, il 7 aprile 1945, nel tentativo di raggiungere Okinawa ed effettuare un attacco suicida contro la flotta americana: scomparve infatti del tutto la scena in cui il comandante della “Yamato”, Kosaku Aruga, si lega alla colonnina della bussola per affondare insieme alla corazzata.

Così – quasi per compensare lo sfregio a stelle-e-strisce – il remake della serie originale intitolato “Yamato 2199” e affidato ai registi Akihiro Enomoto e Yutaka Izubuchi ha calcato la mano su ogni aspetto nazionalistico e tradizionalista già ben presente nell’opera di Matsumoto, creando così un capolavoro epico di esaltazione di ogni valore virile: patriottismo, eroismo, abnegazione e spirito di sacrificio, coraggio, rispetto per il nemico, l’eterna lotta fra i grandi imperi che aspirano alla pace universale unificando tutte le nazioni e l’aspirazione all’indipendenza delle piccole patrie. Insomma: tutto, tranne le Peroni.

La storia

La trama di “Uchuu Senkan Yamato 2199” ricalca abbastanza fedelmente la storia originale, ma alle licenze poetiche di Matsumoto sostituisce una robusta intelaiatura da “science fiction hard core” che rende estremamente verosimile tutta la vicenda. A grandi linee, la trama racconta dell’ultimo tentativo dei terrestri di sopravvivere all’attacco portato dalle avanguardie dell’Impero di Gamiras. La chiave è in una misteriosa tecnologia donata da un lontano pianeta – Iscandar – che consente ai terrestri di realizzare una nave spaziale quasi invincibile a partire dal relitto della corazzata giapponese “Yamato”. Assieme alla tecnologia aliena, gli iscandariani offrono ai terrestri un piano: forzare il blocco di Gamiras, raggiungere Iscandar e là prendere un enigmatico macchinario in grado di ripristinare l’ambiente terrestre, completamente compromesso dai bombardamenti nucleari nemici e ridotto oramai a un deserto radioattivo. Con un equipaggio interamente giapponese, la “Yamato” salpa alla volta di Iscandar mostrando immediatamente il suo enorme potenziale bellico e inizia la traversata della galassia al comando dell’anziano e determinato comandante Jūzō Okita.

Fin dai primi fotogrammi, il remake della serie “Uchuu Senkan Yamato” spreme le lacrime dagli occhi agli spettatori, che siano semplici amanti della fantascienza o romantici patrioti legati ai valori militari. Una spettacolare, disperata battaglia fra ciò che resta della flotta spaziale terrestre e una divisione navale di Gamiras vicino Plutone. Le navi portano tutte nomi giapponesi e nell’acme della battaglia il cacciatorpediniere “Yukikaze” si immola per coprire la ritirata all’ultima corazzata superstite, la “Kirishima”, mentre il suo equipaggio va incontro a morte certa cantando l’inno della Marina Spaziale. Ovviamente una marcia militare in giapponese. Lacrime a non finire, scena da guardare irrigiditi sull’attenti. E se queste sono le premesse, il resto non è da meno.

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Izubuchi, sceneggiatore oltre che regista, ha ricostruito il mondo fantascientifico di Matsumoto lanciando uno sguardo anche dall’altra parte della trincea nemica, dipingendo a tinte vivide l’impero galattico di Gamiras, col suo leader (o meglio, führer, traduzione corretta del termine giapponese sōtō) Abert Dessler, la sua aspirazione a realizzare l’unità della galassia per portare la pace definitiva fra i pianeti e il prezzo da pagare per questo sogno: un prezzo fatto – come la Storia insegna – di guerre, massacri, spietatezza verso se stessi e gli altri. Ma nel miglior solco della tradizione dei cartoni animati giapponesi, la separazione fra “buoni” e “cattivi” non è mai netta, e in “Yamato 2199” si annulla del tutto. Ci sono solo due ragioni inconciliabili fra di loro, quella dei terrestri e quella dei gamiraniani. Una raffinata maturità quasi del tutto sconosciuta alle produzioni occidentali, del tutto appiattite sugli schemi infantili e rozzi di un manicheismo all’americana.

A due anni dalla fine della prima trasmissione in Giappone i 26 episodi di “Yamato 2199” non hanno ancora avuto traduzione per il pubblico occidentale, né in inglese, né tantomeno in italiano (gira voce che una casa di distribuzione italiana specializzata in anime stia meditando una raccolta fondi per finanziare il doppiaggio). Tocca così vedersela in DVD in lingua originale con sottotitoli in inglese o approfittare un po’ piratescamente delle opportunità offerte da internet. Uno sforzo che tutto sommato la bella lingua di Yukio Mishima e Chuya Nakahara, poeta citato più volte nel cartone, si merita. Anche perché, come si diceva in incipit, in questa serie animata c’è tutto: le battaglie fra corazzate; le cerimonie funebri per i caduti dove si onorano anche quelli del nemico; le marce militari; il personale femminile con le curve al punto giusto; gli u-boot spaziali; i caccia nemici che sembrano i Messerschmitt 262; le adunate oceaniche; i colpi di Stato stile “operazione Valchiria”; i soldati che cantano l’inno nazionale di loro iniziativa davanti ai superiori come ne “La Battaglia dei Giganti”; le uniformi bellissime; le morti eroiche sul campo dell’onore; le cannonate che rimbombano sulle lamiere delle corazze (pazienza se nello spazio non si sentono i suoni); i capi carismatici; il nazionalismo giapponese; i saluti vietati dalla Legge Mancino; gli imperi universali con una missione di civiltà; le piccole patrie eroiche che lottano per l’indipendenza. Insomma, c’è tutto, tranne le Peroni. Però c’è il sake.

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Emanuele Mastrangelo

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