Calcio. Addio al Petisso Bruno Pesaola, l’uomo che portò Napoli in Argentina

pesaola napoliNapoli è sulla stessa latitudine di New York. Però il calcio l’ha catapultata giù, dall’altra parte. Che Napoli sia argentina e che l’Argentina sia Napoli, calcisticamente parlando, lo sanno anche le pietre. Il miracolo lo fece  Diego Armando Maradona. Ogni epifania divina, però, non è mai improvvisa. Come un temporale viene annunciato dai lampi in lontananza, ogni interferenza ultraterrena nel mondo materiale e umano è annunciata dai profeti. Anche a Napoli è successo così. Prima di Maradona, infatti, c’era un altro piccoletto che a Partenope ha dedicato la sua vita. Un piccoletto argentino di origini marchigiane che arrivò ancor prima persino di Omar Sivori: Bruno Pesaola.

Questa è una storia antica, propria dei tempi profetici. Il pallone, quando Pesaola lo pennellava al centro dell’area, era ancora in bianco e nero. Era arrivato in Italia pensando di giocare per qualche annetto, resterà tutta la vita al Vomero che vide trasformarsi da sterminato campo di broccoli attorno allo stadio in cui si giocava allora, insieme a mister Centocinque Milioni Hasse Jeppson, a quartiere vip di quella che fu la capitale del Sud. Giocò, girò e finì la carriera alla Scafatese. Appese le scarpette al chiodo e si accomodò in panchina, cominciando proprio dalla Scafatese.

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Ha vinto uno scudetto a Firenze, il secondo gigliato. Con la Viola Ye-ye di Amarildo e Picchio De Sisti. A Napoli ha giocato con Mister Cento Milioni, Hepp allenato Omar Sivori e Dino Zoff, Faustino Canè e Enzo Montefusco, Totonno Juliano e Palo ‘e Fierro Peppe Bruscolotti, Beppe Savoldi e Tarcisio Burgnich. E, ancora, Ramon Diaz, il Giaguaro Luciano Castellini, il tulipano Ruud Krol. Ha vinto, col Napoli dei primi anni ’60, una Coppa Italia con una squadra di B, record finora ineguagliato.

Pesaola, whisky sigarette e cappotto di cammello, è stato l’icona di un calcio che giocava solo di domenica senza aver la presunzione di dare buoni esempi a nessuno. Si definì “un napoletano nato all’estero”. Ha incarnato l’anima cosmopolita di una città che non si rassegna a diventare un’immensa provincia coatta. La notizia della sua morte, avvenuta proprio a Napoli, ha suscitato tristezza in ogni parte del mondo. L’hanno ricordato Careca e Maradona, Ferlaino e le istituzioni che gli concessero la cittadinanza onoraria. Se Napoli è Argentina lo si deve, soprattutto a lui che – per primo – la prese a pallonate trascinandola da sopra a sotto la cinta dell’Equatore.

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Giovanni Vasso

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