Storia. Quando D’Annunzio spronò i giovani a onorare in guerra la memoria di Calatafimi

Prima-Guerra-MondialeEra il 15 maggio 1915. In Italia, in quei giorni, imperversava lo scontro tra il fronte interventista, favorevole all’ingresso del popolo italiano nella Prima Guerra Mondiale, e quello neutralista, portato avanti da Giovanni Giolitti e i suoi seguaci, le cui istanze sono sintetizzabili in un secco “questa guerra non è affar nostro”. Nove giorni dopo i cannoni di Forte Verena – fortezza nei pressi di Vicenza a difesa del confine italiano – tuonarono: due colpi per sancire l’inizio della guerra. L’Italia dichiarò guerra all’Impero Austro-Ungarico, a fianco dell’Intesa.
Durante quel “maggio radioso” Gabriele D’Annunzio infuocava le piazze e gli animi di intellettuali, artisti, studenti e gente comune, tutti che accorrevano per sentirgli invocare la guerra, bramare il sacrificio e la vittoria. I discorsi dannunziani, di quel periodo, sono intrisi, però, di numerosi riferimenti al Risorgimento. Quasi il popolo italiano, con quella Grande Guerra, dovesse continuare a tracciare il solco iniziato un secolo prima da Mazzini, Garibaldi e i grandi fautori dell’Unità. La guerra irredentista, per Gabriele D’Annunzio, doveva rappresentare l’ultima azione Risorgimentale.
La mattina di quel 15 maggio, gli studenti dell’Ateneo di Roma attendevano con ansia Gabriele D’Annunzio- Desideravano sentirlo parlare. Egli, però, all’appuntamento non si presentò. Tuttavia lasciò scritto uno storico messaggio agli universitari, che, probabilmente, scosse profondamente i loro animi.

“Miei giovani amici, sono impedito di venire stamani tra voi, e me ne dolgo. Ma certo, a sollevare il vostro coraggio, ad armare la vostra volontà, sarà tra voi stamani il puro spirito di quel vostro compagno che «l’Angelo della Forca sempiterna» spense di morte infame, nei più crudi tempi di quel servaggio ignominioso dai traditori della patria rappresentato oggi come la sola salute nostra! Non vi apparisca egli come livido fantasma, sì bene come fiamma inespugnabile.
Oggi è l’anniversario della più bella battaglia garibaldina, è l’anniversario di Calatafimi, di una fra le più fulgide gesta italiane. Di essa il Duce soleva dire: «Se nel punto del trapasso voi mi vedrete sorridere, amici, pensate che il ricordo di Calatafimi mi risale dal cuore con l’ultimo palpito. »
A quest’ora i Mille occupavano l’altura detta del Pianto Romano, avendo puntato i cannoni su la via consolare. Garibaldi mandò uno di voi, uno studente ventenne dell’Ateneo pisano, verso l’alfiere per dirgli : « Che salga sul poggio più alto, con la bandiera, e che la
dia tutta al vento! » Anche oggi, con la medesima voce magnetica, non dà egli ai più animosi di voi il medesimo comando?
Ma, perché egli risorridesse, bisognerebbe celebrare questo anniversario con la cacciata del truffatore che vuol vendere l’Italia e del mezzano che la vuol comperare. Bisognerebbe oggi purificare delle due infezioni il cielo di Roma. Come debbono esser tristi i giovani soldati d’Italia! Invece di marciare e di cavalcare su la via di Vienna, sono umiliati nell’onta di difendere i covi dei traditori sbigottiti.
Oggi è l’anniversario della battaglia sublime. Io non vi dirò se non quel che già dissi ai vostri compagni di Genova.« Appiccate il fuoco ! Siate gli incendiarii intrepidi della grande Patria !».

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Fabrizio Ciannamea

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